Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LE TRE VITTIME DEL VIRUS
Si può certamente dire che il Nordest di epidemie se ne intende. Lo dice la storia: parole come quarantena e lazzaretto sono inventate dalla Repubblica di Venezia tra il 1300 ed il 1400 per tentare una profilassi contro la peste. Segno di quanto Venezia fosse una realtà già aperta alle opportunità ma anche ai rischi del mondo grande. E poi, tra il 1918 ed il 1919, insieme alla vittoria arrivò, indesiderata ed imprevista, la cosiddetta spagnola, che si sommò ai disastri di un esausto Nordest teatro di guerra e che fece più vittime della guerra stessa.
Oggi il coronavirus conferma quanto ormai siamo profondamente globalizzati. Non solo «La Cina è vicina», per riprendere il titolo di un film di Bellocchio del 1967, ma tutto è vicino. E tutto è connesso. E’ ancora presto per capire la reale pericolosità di questo nuovo virus, anche se – per essere razionali – non dobbiamo dimenticare i vecchi rischi (la mortalità della banale influenza invernale), i nuovi rischi (l’inquinamento da polveri sottili soprattutto nel catino della valle padana) ed i futuri rischi (quelli del cambiamento climatico e del riscaldamento globale).
In ogni caso, come si diceva, il coronavirus prova non solo quanto profonda sia ormai la globalizzazione, ma anche quanta fragilità nasconda. Da un punto di vista strettamente sanitario nel Nordest non vi sono state (finora) conseguenze rilevanti. Ma già oggi possiamo contare tre vittime.
La prima è l’economia, facile da intuirsi vista l’esposizione del Nordest in termini di esportazioni manifatturiere e di attrattività turistica (a Venezia e Verona in particolare). Ma non è solo questo: il rischio è che il gelo commerciale indotto dall’epidemia indebolisca ulteriormente una economia mondiale già in affanno colpendo quindi un nordest che da tempo ha scommesso lo sviluppo proprio sulla domanda estera.
La seconda vittima è la fiducia o la razionalità. La vorticosità effimera dei social ci ha reso estremamente creduloni e facili alle paure.
Complotti, allarmi ed untori si creano con facili fantasie e girano con altrettanta facilità. D’altronde, anche la rete ed i suoi flussi informativi (e disinformativi) fanno la globalizzazione.
Il risultato è una somma di panico e di sfiducia che porta ad esempio i ristoranti cinesi di Belluno a veder crollare di un terzo i loro clienti mentre spesso nei bar le discussioni fanno pensare di essere tra (pur improbabili) infettivologi.
La terza vittima è l’Europa, dove le risposte all’emergenza sono state finora solo nazionali: ogni paese si è fatto la propria quarantena, ogni paese ha mandato i propri aerei a recuperare i connazionali in Cina, ogni paese ha deciso se e come bloccare i voli.
Come per i profughi, manca una risposta visibilmente europea: ancora un ottimo carburante per gli euroscettici.