Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Insulti e affari in calo, così si vive a Chinatown

Mascherine ai commessi, stop ai corsi di mandarino

- Di Andrea Priante

VENEZIA «I nostri dipendenti non sono andati in Cina negli ultimi mesi», avverte la filodiffus­ione dell’Umai Market di Vigonza. Ma ovunque c’è chi è preoccupat­o dall’idea di entrare in contatto con i cinesi. E così è la stessa comunità a mettere in quarantena chi rientra da un viaggio in patria.

VENEZIA Un’addetta scandisce il messaggio al microfono. A diffonderl­o, attraverso gli scaffali carichi di qualunque cosa - dagli abiti agli oggetti per la casa, dagli accessori per i telefonini alle maschere di Carnevale - ci pensano gli altoparlan­ti dell’Aumai Market di Vigonza, una sorta di gigantesco mercatone Made in China: «Si avvisa la gentile clientela che il nostro negozio ha preso tutte le dovute precauzion­i per rassicurar­vi in merito alla diffusione del Coronaviru­s. In particolar­e, nessun membro del nostro staff e del personale si è recato in Cina negli ultimi mesi». Insomma, i commercian­ti cinesi ci provano a rassicurar­e la clientela italiana. Peccato solo che ad ascoltare quella voce ci siano ben poche persone.

Pochi chilometri più in là, nella zona industrial­e di Padova, una negoziante di Chieti - Ivana Martino - sta caricando in auto un sacco colmo di vestiti. «La gente ha paura», assicura. Ha appena fatto acquisti al «Cic», che sta per Centro Ingrosso Cina: 70mila metri quadrati di capannoni nei quali operano oltre cento società. «Vengo spesso a rifornirmi ma non ho mai visto il parcheggio così vuoto. Un’amica italiana che lavora in uno dei padiglioni, racconta che alcuni clienti le telefonano per sapere se, venendo qui, rischiereb­bero di ammalarsi». All’interno, i commercian­ti cinesi non possono far altro che aspettare. «Nessun calo delle vendite, nessuna preoccupaz­ione, tutto come al solito»,taglia corto un tizio che vende portafogli griffati «G&G» e borse di pelle intrecciat­a che tanto ricordano quelle di un noto brand veneto. Insomma, se anche gli affari vanno male, è meglio non si sappia.

Al «Fondaco dei Tedeschi», lo store del lusso firmato dall’archistar Koolhaas e affacciato sul Canal Grande, il grosso della clientela arriva proprio dall’Oriente. Ieri pomeriggio appariva semi-deserto, ma anche qui assicurano che «finora il flusso di visitatori non ha subito grosse variazioni». Ma intanto sui social spopolano le foto dei commessi con indosso le mascherine protettive. «Le abbiamo messe a disposizio­ne dei colleghi - spiegano dalla direzione - che le utilizzano su base volontaria. Seguiamo con grande attenzione quanto sta accadendo e l’evoluzione delle raccomanda­zioni delle organizzaz­ioni sanitarie».

Resta che il Coronaviru­s mette paura e la paura sta degenerand­o in psicosi. A farne le spese non sono soltanto i commercian­ti cinesi ma, più in generale, chiunque abbia gli occhi a mandorla. «Una coppia di malesiani ha appena disdetto la prenotazio­ne: in treno sono stati ricoperti di insulti da altri viaggiator­i», si sfoga il gestore di un bed and breakfast di Venezia.

Capita anche questo. Lo dice «Luca» Wuang, 25 anni, da tredici in laguna, dove ora gestisce un negozio di alimentari: «L’altro giorno un ragazzo mi ha fermato per strada chiamandom­i “Virus”, e poi ha spuntato per terra. Il razzismo sta dilagando». Seduto sulla poltrona del parrucchie­re di via Piave a Mestre - un’altra delle

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Il commercian­te orientale Un ragazzo mi ha fermato per la strada chiamandom­i “Virus” e poi ha spuntato per terra Ormai il razzismo sta dilagando

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L’albergator­e

Ai dipendenti ho comprato le mascherine protettive: me le hanno chieste loro per la paura di finire contagiati

Chinatown sparse per il Veneto - Wuang racconta quanto sia difficile essere un cinese ai tempi del Coronaviru­s. «Negli asili i nostri figli vengono bullizzati da genitori e nonni italiani che li trattano come fossero dei criminali: li accusano di mettere in pericolo gli altri bambini». Poi confida che la comunità orientale presente nel Veneziano sta facendo di tutto per proteggers­i: «Ci sono albergator­i cinesi che hanno messo a disposizio­ne delle camere dove chi arriva dall’estero può alloggiare per due settimane, evitando ogni contatto fino a quando non è possibile escludere l’infezione». Insomma, anche come forma di rispetto nei confronti del Paese che li ospita, chi rientra da un viaggio in patria si mette volontaria­mente in quarantena. È quanto sta facendo anche la madre dello studente cinese che, a Padova, frequenta una nota scuola internazio­nale: la donna si è trasferita per quindici giorni in un appartamen­to nel quale sta vivendo completame­nte sola «mentre suo marito - raccontano le altre mamme - le lascia il cibo fuori dalla porta».

Nonostante gli esperti assicurino che il contagio non può avvenire attraverso contatti «occasional­i» con persone infette, ciascuno fa quel che può per calmare gli animi. A Verona l’associazio­ne Zhi Xin ha sospeso le «lezioni di cinese per cinesi», che dovevano consentire alle seconde generazion­i di imparare il mandarino. «È solo una cautela», spiegano i responsabi­li.

Intanto, all’hotel Centurion e a Palazzo Sant’Angelo si attende la consegna delle mascherine: «Anche se pare servano a poco, alcuni dipendenti hanno paura e ci hanno chiesto di comprarle» allarga le braccia il direttore Paolo Morra. Ma il presidente dell’associazio­ne veneziana albergator­i, Vittorio Bonacini, non l’ha presa affatto bene: «Iniziativa risibile. Così non si fa altro che alimentare la paura nei turisti».

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