Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Truffa e associazione a delinquere Consoli vuole dire la sua verità
Crac Veneto Banca, l’ex ad e altri quattro dirigenti chiedono l’interrogatorio ai pm
TREVISO «Accuse strampalate». Aveva reagito così la difesa di Vicenzo Consoli all’avviso di chiusura dell’inchiesta che vede indagato l’ex amministratore delegato, insieme ad altri cinque dirigenti, per associazione a delinquere finalizzata a una truffa da 107 milioni di euro, a danno di oltre 2.200 vittime. Un commento a caldo, al quale l’ex amministratore delegato di Veneto Banca, ha fatto seguire ora la richiesta formale di interrogatorio, già arrivata sul tavolo dei sostituti procuratori Massimo De Bortoli e Gabriella Cama che coordinano le indagini sul crac dell’ex popolare di Montebelluna. Saranno loro, nelle prossime settimane, ad ascoltare la verità dell’amministratore delegato. Per Consoli si tratta del secondo incontro con De Bortoli, dopo aver reso l’interrogatorio in merito ad un’altra indagine, quella sull’operazione che, nel 2008, portò alla fusione di Banca Intermobiliare (il processo per questa vicenda inizierà a novembre).
Un ritorno a Treviso che era già stato annunciato anche dal suo avvocato Ermenegildo Costabile: «Il dottor Consoli è ansioso di farsi interrogare. Rispondere a queste contestazioni è un’esigenza dettata non tanto da utilità processuale, ma da una questione morale contro tali condizioni di pregiudizio dettate da giustizia sommaria».
A chiedere di esser interrogati anche gli altri indagati Mosé Fagiani, Renato Merlo, Stefano Bertolo e Massimo Lembo (al momento manca solo Cataldo Piccarreta che potrebbe ancora presentare istanza). Pronti a presentarsi davanti ai magistrati per dire la loro verità su un’ipotesi accusatoria secondo la quale, seguendo le indicazioni di Consoli che per la procura era il «dominus» indiscusso della banca e dell’associazione a delinquere, ingannando dipendenti, consiglieri d’amministrazione e organi di vigilanza avrebbero truffato i clienti vendendo loro «a condizioni inique» azioni e obbligazioni della banca. Ed è soprattutto l’ex ad a voler rispondere alle domande del giudice: «Per dimostrare che questa è una vicenda giudiziaria, costruita su un reato che non esiste. Perché, se esistesse, Consoli, con tutta la sua famiglia, sarebbe il primo truffato di se stesso», ha ripetutamente spiegato il suo avvocato Costabile, convinto che quest’accusa non possa che finire con una richiesta di archiviazione da parte della procura. E per dimostrarlo ha snocciolato anche i numeri di quanto Veneto Banca sarebbe costata alla famiglia Consoli: «Il mio assistito e la moglie hanno acquistato azioni non solo prima del 2012 e quindi prima dell’aumento di capitale, ma anche nel 2014, nel 2015 e addirittura nel 2016 a riprova del fatto che erano convinti della bontà di quelle azioni. Per un pacchetto complessivo di circa 7 milioni di euro. Valore completamente azzerato con il default».
A volersi far interrogare, c’è anche l’ex condirettore generale e responsabile dell’area commerciale Mosé Fagiani che, come Consoli parte da un dato di fatto: «Devo essere talmente stupido da aver truffato me stesso e la mia famiglia. Ho investito i mei risparmi in Veneto Banca perché ci credevo. E quando l’ho lasciata la banca aveva superato gli stress test Bce, dopo un’ispezione di Banca d’Italia. E per far fronte ai problemi sollevati per cui venivamo invitati all’aggregazione si era fatto l’aumento di capitale. Ora siamo accusati noi; mi chiedo dove fossero e cos’abbiano fatto gli organi di controllo interni ed esterni».