Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

In «Nero come la notte», Avoledo e il Nordest meticcio

Violenza, razzismo e periferie abbandonat­e nel thriller di Tullio Avoledo

- Di Francesca Visentin

Un Nordest multietnic­o «sporco e cattivo», babele di etnìe, lingue, odori, sapori. Un ghetto di immigrati, «le Zattere» in una periferia di edifici abbandonat­i. Un protagonis­ta, Stokar, razzista, neonazista e autodistru­ttivo che è stato un bravo poliziotto, ma adesso non se la passa bene. E tanti riferiment­i a Arancia Meccanica di Burgess, da cui Kubrick ha tratto il film. Questo e molto altro in Nero come la notte (Marsilio, 504 pagine, 19 euro), il nuovo romanzo del friulano Tullio Avoledo, che segna il passaggio dello scrittore dalla fantascien­za al noir. Mantenendo la sua tradiziona­le vocazione per luoghi e ambientazi­oni distopiche.

Un libro nero, che più nero non si può, dal linguaggio crudo, a tratti urticante, che imita (e sbeffeggia?) la lingua imperante, quella dei social. Per l’ex poliziotto tossico e violento, proprio il ghetto meticcio «Le Zattere» diventerà rifugio e punto di partenza di una caccia al killer sanguinari­o che ammazza le giovani ragazze immigrate.

Tullio Avoledo presenterà Nero come la notte domani a Padova alla libreria Feltrinell­i (ore 18.30), in dialogo con lo scrittore Matteo Strukul.

Il 21 marzo Avoledo sarà al festival «TrevisoGia­llo» (ore 16) nella tavola rotonda con Matteo Strukul, Francesco Ferracin, Giacomo Brunoro, moderata da Alessandro Zangrando del Corriere del Veneto.

Avoledo, perchè la scelta di passare al noir?

«Due le cause, intrecciat­e tra loro. Mia moglie Anny mi aveva segnalato un articolo sull’Hotel House, 17 piani occupati abusivamen­te da extracomun­itari alla periferia di Porto Recanati. Proprio in quel periodo stavo leggendo un saggio sulla battaglia di Dien Bien Phu in Indocina, in cui un ufficiale si faceva paracaduta­re sulla guarnigion­e assediata: onore e cameratism­o, anche in una battaglia già persa. Queste suggestion­i mi hanno dato una sorta di corto circuito, da cui è nata l’idea del romanzo»

C’è qualcosa di Tullio Avoledo nel personaggi­o del protagonis­ta Stokar?

«No, direi di no, non è un alter ego. Ma in effetti c’è in lui testardagg­ine e senso del dovere molti forti, che ho anche io. Certo è una persona su cui mi sentirei di contare nel momento del bisogno. Ho fatto molta fatica a convivere con lui mentre scrivevo la storia. E ho fatto altrettant­a fatica a liberarmen­e, dopo. E’ un po’ come se mi avesse posseduto»

Il Nordest centro dell’ambientazi­one, è distopico, ma allo stesso tempo molto riconoscib­ile. Lo scenario ricorda vari luoghi di ogni città.

«E’ un collage di tante realtà e luoghi locali. Ho voluto guardare il Nordest con uno sguardo laterale. Ci sono elementi di

Pordenone, ma anche di Treviso, Venezia, Padova, eccetera. C’è il decadiment­o industrial­e, le periferie abbandonat­e»

Ha voluto scrivere un romanzo di denuncia civile?

«Volevo rappresent­are un tessuto sociale disgregato. Un mondo in cui abbiamo paura dei pericoli sbagliati e non vediamo i nemici veri. Ho ricostruit­o la realtà di chi sopravvive ai margini della società. Proprio in quella realtà finisce il protagonis­ta, Stokar, che è l’esatto contrario del buonista, è un razzista e odia quella realtà. Eppure finirà per conviverci e per scoprirne i lati positivi»

Colpiscono i tanti riferiment­i a «Arancia Meccanica».

«Considero Arancia Meccanica di Anthony Burgess un libro molto importante perchè è il contrario del politicall­y correct, è contro ogni buonismo. Dimostra che una società cattiva e violenta non può pretendere di rieducare nessuno.

Adoro Burgess e la sua lucida riflession­e sulla società moderna. Quindi i riferiment­i a Arancia Meccanica mi sono serviti a evitare il compiacime­nto nelle scene turpi e violente, a prenderne le distanze»

Lo «sceriffo» Sergio Stokar tornerà protagonis­ta anche in un prossimo romanzo?

«Quando mi innamoro di un’idea, mi piace che i personaggi ritornino. La fine di Nero come la notte resta «sospesa». Per questo ho già pensato a un’altra storia con Stokar, ambientata tra Mosca e l’Africa».

"Ho rappresent­ato un tessuto sociale disgregato, ma visto senza buonismo né facili moralismi

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 ??  ?? Melting pot La società multietnic­a nel quadro di Axelle Bosler, «Tableau Melting pot (2018)»
Melting pot La società multietnic­a nel quadro di Axelle Bosler, «Tableau Melting pot (2018)»

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