Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
In «Nero come la notte», Avoledo e il Nordest meticcio
Violenza, razzismo e periferie abbandonate nel thriller di Tullio Avoledo
Un Nordest multietnico «sporco e cattivo», babele di etnìe, lingue, odori, sapori. Un ghetto di immigrati, «le Zattere» in una periferia di edifici abbandonati. Un protagonista, Stokar, razzista, neonazista e autodistruttivo che è stato un bravo poliziotto, ma adesso non se la passa bene. E tanti riferimenti a Arancia Meccanica di Burgess, da cui Kubrick ha tratto il film. Questo e molto altro in Nero come la notte (Marsilio, 504 pagine, 19 euro), il nuovo romanzo del friulano Tullio Avoledo, che segna il passaggio dello scrittore dalla fantascienza al noir. Mantenendo la sua tradizionale vocazione per luoghi e ambientazioni distopiche.
Un libro nero, che più nero non si può, dal linguaggio crudo, a tratti urticante, che imita (e sbeffeggia?) la lingua imperante, quella dei social. Per l’ex poliziotto tossico e violento, proprio il ghetto meticcio «Le Zattere» diventerà rifugio e punto di partenza di una caccia al killer sanguinario che ammazza le giovani ragazze immigrate.
Tullio Avoledo presenterà Nero come la notte domani a Padova alla libreria Feltrinelli (ore 18.30), in dialogo con lo scrittore Matteo Strukul.
Il 21 marzo Avoledo sarà al festival «TrevisoGiallo» (ore 16) nella tavola rotonda con Matteo Strukul, Francesco Ferracin, Giacomo Brunoro, moderata da Alessandro Zangrando del Corriere del Veneto.
Avoledo, perchè la scelta di passare al noir?
«Due le cause, intrecciate tra loro. Mia moglie Anny mi aveva segnalato un articolo sull’Hotel House, 17 piani occupati abusivamente da extracomunitari alla periferia di Porto Recanati. Proprio in quel periodo stavo leggendo un saggio sulla battaglia di Dien Bien Phu in Indocina, in cui un ufficiale si faceva paracadutare sulla guarnigione assediata: onore e cameratismo, anche in una battaglia già persa. Queste suggestioni mi hanno dato una sorta di corto circuito, da cui è nata l’idea del romanzo»
C’è qualcosa di Tullio Avoledo nel personaggio del protagonista Stokar?
«No, direi di no, non è un alter ego. Ma in effetti c’è in lui testardaggine e senso del dovere molti forti, che ho anche io. Certo è una persona su cui mi sentirei di contare nel momento del bisogno. Ho fatto molta fatica a convivere con lui mentre scrivevo la storia. E ho fatto altrettanta fatica a liberarmene, dopo. E’ un po’ come se mi avesse posseduto»
Il Nordest centro dell’ambientazione, è distopico, ma allo stesso tempo molto riconoscibile. Lo scenario ricorda vari luoghi di ogni città.
«E’ un collage di tante realtà e luoghi locali. Ho voluto guardare il Nordest con uno sguardo laterale. Ci sono elementi di
Pordenone, ma anche di Treviso, Venezia, Padova, eccetera. C’è il decadimento industriale, le periferie abbandonate»
Ha voluto scrivere un romanzo di denuncia civile?
«Volevo rappresentare un tessuto sociale disgregato. Un mondo in cui abbiamo paura dei pericoli sbagliati e non vediamo i nemici veri. Ho ricostruito la realtà di chi sopravvive ai margini della società. Proprio in quella realtà finisce il protagonista, Stokar, che è l’esatto contrario del buonista, è un razzista e odia quella realtà. Eppure finirà per conviverci e per scoprirne i lati positivi»
Colpiscono i tanti riferimenti a «Arancia Meccanica».
«Considero Arancia Meccanica di Anthony Burgess un libro molto importante perchè è il contrario del politically correct, è contro ogni buonismo. Dimostra che una società cattiva e violenta non può pretendere di rieducare nessuno.
Adoro Burgess e la sua lucida riflessione sulla società moderna. Quindi i riferimenti a Arancia Meccanica mi sono serviti a evitare il compiacimento nelle scene turpi e violente, a prenderne le distanze»
Lo «sceriffo» Sergio Stokar tornerà protagonista anche in un prossimo romanzo?
«Quando mi innamoro di un’idea, mi piace che i personaggi ritornino. La fine di Nero come la notte resta «sospesa». Per questo ho già pensato a un’altra storia con Stokar, ambientata tra Mosca e l’Africa».
"Ho rappresentato un tessuto sociale disgregato, ma visto senza buonismo né facili moralismi