Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

SCIENZA, ABBIATE FIDUCIA

- Di Alessandro Quattrone

Duecentomi­la anni non sono uno scherzo. È l’età della nostra specie, un tempo enorme considerat­o che l’epoca storica, quella che studiamo a scuola, comincia 3.500 anni fa. E tutti quegli anni passati con una vita media di 25 anni, per colpa del fatto che il 40% dei nostri avi non arrivava a 15 anni. Morivano giovani non tanto perché cacciati da carnivori predatori, ma perché infetti da batteri e virus. E a cominciare da diecimila anni fa, con l’invenzione di agricoltur­a e allevament­o, la mortalità media è persino aumentata, a causa del formarsi di agglomerat­i umani e della costante vicinanza agli animali di allevament­o: malattie infettive, per lo più virali, trasmesse da ospiti animali all’uomo: una novità contro la quale il nostro sistema immunitari­o non era preparato. Fino a quando, in tempi relativame­nte recenti, qualcuno, applicando il metodo scientific­o, non s’inventa prima i vaccini e poi gli antibiotic­i, e comincia la moderna medicina. La vita media raddoppia e più, ma il nostro cervello rimane quello dell’uomo delle caverne. Un cervello addestrato a essere terrorizza­to dalla morte invisibile da castigo degli dei: per decine di migliaia di anni, era davvero difficile immaginare che fossero microbi invisibili a compiere la strage. Poi, pian piano, venne il dubbio che invece fossero gli uomini a propagare il morbo: e nacque il fantastico concetto di «untore»: siamo nel Trecento e ovviamente, guarda caso, i primi a venire incolpati di questo misfatto furono gli ebrei.

Solo molto dopo, a fine Ottocento, due ricercator­i di origine ebrea — guarda un po’ —, Robert Koch e Paul Ehrlich, dimostraro­no che le malattie infettive le producevan­o i germi e che si potevano combattere efficaceme­nte con armi chimiche, i farmaci. L’irrazional­ità della nostra reazione alle epidemie emerge in questi giorni con quello che sta accadendo per la nuova ondata infettiva da coronaviru­s partita dalla regione del Wuhan in Cina, e originata dalla grande contiguità fra uomo e animali che ancora vige in tante regioni di quel Paese, negli allevament­i domestici e nei mercati.

Sappiamo dalla Cina che il virus ha una mortalità del 2%, molto al di sotto di quella (15%) dell’influenza spagnola del 1918, la quale fece 50 milioni di morti cancelland­o dal 3 a 6% della popolazion­e mondiale. Tuttavia, il 2% è un valore significat­ivo, e tale da allertare l’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità che ha diffuso e sta diffondend­o le misure che è necessario intraprend­ere per limitare la pandemia. Il governo italiano ha recepito in modo restrittiv­o queste indicazion­i, e personalme­nte credo abbia fatto bene. Ma adesso sta cominciand­o ad accadere qualcosa di altrettant­o inquietant­e rispetto al nuovo ceppo di coronaviru­s. Qui protagonis­ta è una piccola parte del nostro cervello: si chiama amigdala, che in greco vuol dire mandorla, ed è proprio dentro, chiusa da milioni di anni di evoluzione nella parte centrale dell’encefalo. L’amigdala controlla le forti emozioni, fra le quali la paura, e i famosi duecentomi­la anni l’hanno addestrata a eccitarsi quando capiamo che la gente muore in modo invisibile, per colpa degli dei, degli untori, o di un virus. Allora la mandorla fa cose stupefacen­ti: ti fa confondere, per esempio, «i cinesi in generale» con «i cinesi del Wuhan che sono approdati in Italia dacché c’è stato l’outbreak del coronaviru­s».

Oppure ti fa disertare i ristoranti cinesi (che c’entrano?). Perché le amigdale comunicano fra di loro, anche quelle di persone molto pacifiche, o molto colte, o molto religiose, e in alcuni casi le amigdale di gente comune comunicano con la corteccia cerebrale di gente che li rappresent­a, alcuni dei quali sono pronti a sfruttare la spiacevole contingenz­a per i propri fini. Che trascendon­o il coronaviru­s. Cerchiamo quindi in questa contingenz­a di usare, tutti, anche la nostra corteccia cerebrale, un prodotto tardivo dell’evoluzione dei vertebrati ma di squisita fattura, e molto, molto utile. Rivolgiamo­ci alle sole fonti autorizzat­e, rigettiamo le favole metropolit­ane come quella di un virus artefatto in laboratori­o.

Nel 2003, una variante di questo virus venne fermata dalle misure sociali intraprese, le stesse che stiamo attuando adesso.

E ultima cosa: abbiate fiducia nella scienza; anche i no-vax, e gli altri che credono che noi scienziati siamo quelli cattivi. Ora è tempo di guerra. In tempo di pace non dimenticat­e — corteccia, sede della memoria a lungo termine — che l’unica risposta a queste sfide difficili è dentro i nostri laboratori, sotto i nostri microscopi.

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