Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
SCIENZA, ABBIATE FIDUCIA
Duecentomila anni non sono uno scherzo. È l’età della nostra specie, un tempo enorme considerato che l’epoca storica, quella che studiamo a scuola, comincia 3.500 anni fa. E tutti quegli anni passati con una vita media di 25 anni, per colpa del fatto che il 40% dei nostri avi non arrivava a 15 anni. Morivano giovani non tanto perché cacciati da carnivori predatori, ma perché infetti da batteri e virus. E a cominciare da diecimila anni fa, con l’invenzione di agricoltura e allevamento, la mortalità media è persino aumentata, a causa del formarsi di agglomerati umani e della costante vicinanza agli animali di allevamento: malattie infettive, per lo più virali, trasmesse da ospiti animali all’uomo: una novità contro la quale il nostro sistema immunitario non era preparato. Fino a quando, in tempi relativamente recenti, qualcuno, applicando il metodo scientifico, non s’inventa prima i vaccini e poi gli antibiotici, e comincia la moderna medicina. La vita media raddoppia e più, ma il nostro cervello rimane quello dell’uomo delle caverne. Un cervello addestrato a essere terrorizzato dalla morte invisibile da castigo degli dei: per decine di migliaia di anni, era davvero difficile immaginare che fossero microbi invisibili a compiere la strage. Poi, pian piano, venne il dubbio che invece fossero gli uomini a propagare il morbo: e nacque il fantastico concetto di «untore»: siamo nel Trecento e ovviamente, guarda caso, i primi a venire incolpati di questo misfatto furono gli ebrei.
Solo molto dopo, a fine Ottocento, due ricercatori di origine ebrea — guarda un po’ —, Robert Koch e Paul Ehrlich, dimostrarono che le malattie infettive le producevano i germi e che si potevano combattere efficacemente con armi chimiche, i farmaci. L’irrazionalità della nostra reazione alle epidemie emerge in questi giorni con quello che sta accadendo per la nuova ondata infettiva da coronavirus partita dalla regione del Wuhan in Cina, e originata dalla grande contiguità fra uomo e animali che ancora vige in tante regioni di quel Paese, negli allevamenti domestici e nei mercati.
Sappiamo dalla Cina che il virus ha una mortalità del 2%, molto al di sotto di quella (15%) dell’influenza spagnola del 1918, la quale fece 50 milioni di morti cancellando dal 3 a 6% della popolazione mondiale. Tuttavia, il 2% è un valore significativo, e tale da allertare l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha diffuso e sta diffondendo le misure che è necessario intraprendere per limitare la pandemia. Il governo italiano ha recepito in modo restrittivo queste indicazioni, e personalmente credo abbia fatto bene. Ma adesso sta cominciando ad accadere qualcosa di altrettanto inquietante rispetto al nuovo ceppo di coronavirus. Qui protagonista è una piccola parte del nostro cervello: si chiama amigdala, che in greco vuol dire mandorla, ed è proprio dentro, chiusa da milioni di anni di evoluzione nella parte centrale dell’encefalo. L’amigdala controlla le forti emozioni, fra le quali la paura, e i famosi duecentomila anni l’hanno addestrata a eccitarsi quando capiamo che la gente muore in modo invisibile, per colpa degli dei, degli untori, o di un virus. Allora la mandorla fa cose stupefacenti: ti fa confondere, per esempio, «i cinesi in generale» con «i cinesi del Wuhan che sono approdati in Italia dacché c’è stato l’outbreak del coronavirus».
Oppure ti fa disertare i ristoranti cinesi (che c’entrano?). Perché le amigdale comunicano fra di loro, anche quelle di persone molto pacifiche, o molto colte, o molto religiose, e in alcuni casi le amigdale di gente comune comunicano con la corteccia cerebrale di gente che li rappresenta, alcuni dei quali sono pronti a sfruttare la spiacevole contingenza per i propri fini. Che trascendono il coronavirus. Cerchiamo quindi in questa contingenza di usare, tutti, anche la nostra corteccia cerebrale, un prodotto tardivo dell’evoluzione dei vertebrati ma di squisita fattura, e molto, molto utile. Rivolgiamoci alle sole fonti autorizzate, rigettiamo le favole metropolitane come quella di un virus artefatto in laboratorio.
Nel 2003, una variante di questo virus venne fermata dalle misure sociali intraprese, le stesse che stiamo attuando adesso.
E ultima cosa: abbiate fiducia nella scienza; anche i no-vax, e gli altri che credono che noi scienziati siamo quelli cattivi. Ora è tempo di guerra. In tempo di pace non dimenticate — corteccia, sede della memoria a lungo termine — che l’unica risposta a queste sfide difficili è dentro i nostri laboratori, sotto i nostri microscopi.