Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Eraclea, in quarantasei a processo per mafia
Il giudice ha deciso di rinviare a giudizio i 45 imputati oltre all’ex sindaco Mestre. Primi due patteggiamenti
VENEZIA Il maxi-processo al clan casalese che secondo la Dda di Venezia ha dominato a Eraclea per quasi vent’anni con estorsioni, minacce, accordi illeciti con la politica e l’imprenditoria locale, si aprirà l’11 giugno prossimo. E sarà maxi in tutti i sensi: 46 imputati, un centinaio di pagine di capi d’imputazione. E 21 di loro dovranno rispondere di associazione mafiosa.
VENEZIA Il maxi-processo al clan casalese che secondo la Dda di Venezia ha dominato a Eraclea per quasi vent’anni con estorsioni, minacce, accordi illeciti con la politica e l’imprenditoria locale, si aprirà l’11 giugno prossimo. E sarà maxi in tutti i sensi: 46 imputati, un centinaio di pagine di capi d’imputazione (21 dovranno rispondere di associazione mafiosa), ma anche centinaia di testimoni che saranno sentiti nel corso di decine di udienze, con il rischio che il tribunale di Venezia resti paralizzato per due o tre anni. Anche perché, come era stato chiaro fin dal principio, due terzi dei 76 imputati, tra cui molti dei «big» hanno scelto il dibattimento in aula, convinti di poter dimostrare che a Eraclea non c’erano i mafiosi o i camorristi o i casalesi, ma al massimo qualcuno che alzava ogni tanto la voce e si faceva rispettare.
Ieri pomeriggio, dopo un paio d’ore di camera di consiglio, il gup Andrea Battistuzzi ha deciso di rinviare a giudizio tutti e 45 gli imputati per cui i pm lagunari Roberto Terzo e Federica Baccaglini avevano chiesto il processo, tra cui anche il presunto boss Luciano Donadio e i figli Adriano e Claudio. In aula ritroveranno l’ex sindaco Mirco Mestre, accusato di voto di scambio politico-mafioso, perché avrebbe accettato un centinaio di voti «pilotati» dal clan alle elezioni del 2016 (fondamentali, visto che vinse per sole 81 preferenze) in cambio dell’appoggio al progetto di un impianto a biogas, che poi alla fine però non venne realizzato: il suo legale, l’avvocato Emanuele Fragasso, aveva deciso di saltare l’udienza preliminare e per lui era stata fissata la data del 21 maggio, ma i due processi si riuniranno.
Ci sono poi 25 imputati che hanno scelto il rito abbreviato e per loro la prima udienza sarà il 26 febbraio prossimo. Sono perlopiù coloro che hanno scelto di collaborare con la procura – per esempio l’imprenditore sandonatese Christian Sgnaolin, l’unico veneto nella «cupola» secondo l’accusa, che si è «pentito» e infatti ora è detenuto in una località segreta, ma anche Girolamo Arena o Antonio Puoti – o posizioni più defilate, anche se non mancano i «pezzi da novanta»: come Graziano Teso, l’ex sindaco che per i pm fu il primo ad aprire le porte del Comune alla banda Donadio nel lontano 2005, oppure l’avvocato Annamaria Marin, che era lo storico difensore del boss e che secondo l’accusa gli avrebbe rivelato informazioni riservate. O come il poliziotto Moreno Pasqual, che avrebbe aiutato Donadio in cambio di piccoli favori.
Ieri il giudice ha poi messo il timbro sugli unici due patteggiamenti: quello a un anno e 4 mesi per Tatiana Battaiotto, moglie di Tommaso Napoletano, uno degli «sgherri» del boss, accusata di favoreggiamento; e quello a 2 anni per Giorgio Minelle, imprenditore padovano accusato di estorsione. E’ stato infine dichiarato non processabile per motivi di salute l’imprenditore Graziano Poles, mentre sono irreperibili lo sloveno Camil Ikic (che deve rispondere di possesso di armi) e l’albanese Altin Skenderi (spaccio).
L’impianto dell’accusa è dunque passato indenne all’udienza preliminare, anche le posizioni su cui alcuni legali avevano battagliato di più. Come quella di Claudio Donadio, figlio minore di Luciano, su cui gli avvocati Renato Alberini e Giovanni Gentilini (che difendono tutti e tre) si erano molto esposti, al punto da dire che fosse quasi «vittima» del ruolo del «padre-padrone»; oppure il bancario Denis Poles, il cui avvocato Antonio Forza aveva ottenuto la scarcerazione dalla Corte di Cassazione ad agosto, dopo sei mesi in cella. Tanto che qualche avvocato non ha nascosto stupore e malumore per il «filotto» della procura. Luciano Donadio ha solo incassato una minuscola assoluzione su uno degli oltre sessanta reati a lui contestati, relativo alla detenzione di una pistola usata per sparare contro un’agenzia immobiliare e intimidirne il proprietario: episodio del 2002 ritenuto prescritto anche per Antonio Pacifico, come aveva chiesto l’avvocato Mauro Serpico. Respinta invece una questione qui posta dall’avvocato Stefania Pattarello per conto del consulente del lavoro Angelo Di Corrado e che verrà sicuramente riproposta al dibattimento: ovvero la regolarità delle numerose proroghe d’indagine della procura.
Resta aperto invece il problema dei giudici, per un’inchiesta durata anni e che ha visto tanti magistrati firmare atti che li rendono incompatibili. Oggi a mezzogiorno scade l’«interpello» interno ai giudici del dibattimento di Venezia disposto dal presidente del tribunale Salvatore Laganà: tra i gip non ce n’è più nemmeno uno «libero», ma pare che nessuno dei colleghi si sia fatto avanti e la prima udienza, come detto, è tra soli venti giorni. A guidare il tribunale collegiale sarà invece il presidente della sezione penale Stefano Manduzio.