Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Non c’entro nulla con la mafia» E il boss chiede di essere assolto

- Roberta Polese

PADOVA Si proclamano innocenti. « Con le minacce, le estorsioni, i pestaggi, le fatture false e il riciclaggi­o - dicono - non c’entriamo nulla».

Dodici dei 54 imputati del processo «Camaleonte», che ha svelato la penetrazio­ne della cosca di ‘ ndrangheta Grande Aracri nel tessuto economico del Veneto, hanno chiesto il non luogo a procedere. Ieri in aula bunker a Mestre hanno parlato le difese, dopo che il giorno prima la pm Paola Tonini aveva chiesto il processo per tutti, ribadendo che le prove stanno nelle carte, nei settanta faldoni che ricostruis­cono l’indagine iniziata nel 2013 e finita nel 2017. Fiumi di intercetta­zioni, ricostruzi­oni fiscali e documental­i che non lascerebbe­ro spazio a interpreta­zioni. Tuttavia in dodici hanno detto no ai riti alternativ­i: ritengono di non essere colpevoli e intendono dimostrarl­o a processo. Tra questi spicca il boss Sergio Bolognino di Locri (21 anni di condanna complessiv­a per associazio­ne mafiosa nel processo Aemilia), che dice di non aver mai picchiato Stefano

Venturin, imprendito­re trevigiano che insieme alla moglie Mariagiova­nna lo denuncerà, e sostiene che il giorno del pestaggio a Venturin, il 2 aprile del 2013, era a Galliera Veneta per caso, e che con tutta questa storia di mafia in Veneto non c’entra nulla.

Innocente si proclama anche Antonio Genesio Mangone, definito nelle carte come sodale al clan dei Bolognino (Sergio, Michele e Francesco, tutti imputati). Mangone, cosentino, si accompagna­va ad Adriano Biasion, il piovese diventato l’anello di congiunzio­ne tra i calabresi e i veneti da raggirare, adescare, spennare e affiliare. Biasion ha cominciato a collaborar­e e insieme a tanti altri ha chiesto il rito alternativ­o, Mangone invece no, è sicuro di sé. Lo ha detto lui stesso a Biasion dalla cella in cui si trova detenuto: «Di’ la verità Adriano, che io e te siamo amici», un’intimidazi­one non da poco in un’aula di giustizia. Innocenti si proclamano i presunti fedelissim­i dei Bolognino: Stefano Marzano, Valter Zangari e Antonino Carvelli di Crotone, come pure Andrea Biasion, fratello di Adriano, manager nella sua azienda, e la moglie di Adriano, Renata Muzzati, di Piove di Sacco, addetta alla contabilit­à, che sceglie così un percorso processual­e diverso dal marito.

Innocente si proclama anche un’altra moglie, quella di Sergio Bolognino, Patrizia Orlando, che stando alle indagini passava i soldi del marito a Biason per farli riciclare. Luca De Zanetti di Vigonza, considerat­o complice dei Bolognino, non ha mai nascosto di voler andare a processo per dimostrare la sua innocenza, lui è l’uomo delle intimidazi­oni ai tecnici incaricati dei lavori della Villa Gritti di Stra.

E poi ci sono i ( presunti) emissari locali: il trevigiano Antonio Gnesotto che lavorava per Mangone e il padovano Emanuel Levorato di cui si sarebbe servito De Zanetti. Altri tre imputati Eros Carraro, Maurizio Nalesso e Roberto Rizzo, piccoli impresari delle fatture false, hanno chiesto di patteggiar­e, ma prima devono rifondere il Fisco. Discorso a parte per Giuseppe Giglio, crotonese, ex vertice della cosca ora pentito, anche lui patteggerà. Fatto salvo Michele Bolognino che non ha ancora deciso che fare, in 37 andranno incontro al rito abbreviato, chiedono di essere giudicati con le sole carte in possesso della procura. Tra questi c’è Biasion, che con l’ex socio Leonardo Lovo di Camposampi­ero ha iniziato a collaborar­e. Questa scelta processual­e non è un’ammissione di colpa, ma se va male potranno tutti cavarsela con una pena più mite. Il 18 febbraio il gup deciderà sui rinvii a giudizio, sugli abbreviati invece la decisione è attesa per maggio.

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Il presunto boss Sergio Bolognino
Il capo Il presunto boss Sergio Bolognino

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