Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Ginnastica e cibo fuori dalla porta, la mia quarantena»
«Ci resto due settimane. Ai razzisti dico: non sono un virus»
PADOVA Xia Weihong vive in Italia dal 1984, quando assieme al padre e alla sorella lasciò la Cina per trasferirsi a settemila chilometri di distanza, a Trieste, poi a Roma e infine in un paesino della provincia di Padova. «Ero una dodicenne che non capiva una parola della vostra lingua. Ricordo che qui non c’erano altri orientali e gli altri ragazzini mi chiamavano “gialla” e si prendevano gioco di me con parole in pseudo-cinese che non avevano alcun senso, tipo “cin-ciun-ciang”. Per loro era divertente ma io ne soffrivo».
Xia oggi fa l’imprenditrice, ha 48 anni, un marito e tre figli, tra i 13 e i vent’anni. Nessuno la prende più in giro. «Eppure, qualunque cosa accada in Cina sembra diventare un buon pretesto per far riemergere del razzismo nei confronti di chi, come me, è nato nella Repubblica Popolare. Con questa faccenda del coronavirus le persone guardano noi cinesi con sospetto, mi sembra di essere tornata a quando ero piccola…».
Parla al telefonino, rinchiusa in un piccolo appartamento a Pontevigodarzere: è completamente sola da ormai otto giorni. Xia, infatti, è una dei tanti stranieri residenti in Veneto e rientrati di recente dalla Cina che hanno scelto di mettersi volontariamente in quarantena.
«Ho preso un volo la sera del 22 gennaio e sono arrivata nel mio Paese d’origine il 24. Lì ci sono rimasta solo quattro giorni: vista la situazione di allerta, il 28 gennaio ero di nuovo in Italia. Seguendo le raccomandazioni dell’ambasciata, ho deciso di mettermi in auto-isolamento in questa casa che io e la mia famiglia non utilizzavamo. Nessuno mi ha costretta alla quarantena e non avevo alcun sintomo, ma mi sembrava giusto farlo».
Perché?
«È una questione di rispetto. Lo faccio per il bene dello Stato cinese, della mia famiglia, degli amici e dell’Italia che mi ha adottata».
Non le manca la libertà di uscire?
«Mi mancano soprattutto i miei figli, poterli abbracciare. Parliamo al telefono e vengono a trovarmi: io mi affaccio al terrazzo e loro mi salutano restando in giardino. Mi consolo con la consapevolezza che sto dando loro il buon esempio».
Come trascorre le sue giornate in isolamento?
«Sono abituata a dormire fino a tardi. Per prima cosa faccio un po’ di ginnastica: pratico il Qì Gong, una specie di arte marziale che prevede dei movimenti un po’ particolari. Quando finisco è già ora di mangiare».
Ha a disposizione delle scorte alimentari?
«No, ci pensa mio marito. Quando sento il campanello suonare, so che mi ha lasciato del cibo take away sopra alla sedia, appena fuori dalla porta d’ingresso. Aspetto qualche minuto, il tempo che si allontani dal condominio, e ritiro il pranzo. Nel pomeriggio faccio le pulizie e promuovo, attraverso internet, alcune raccolte fondi per l’acquisto di mascherine. Faccio tutto quel che posso per sostenere le associazioni che stanno aiutando a fronteggiare l’emergenza».
La sera?
«Esercito la voce: mi sono appassionata alle canzoni tradizionali cinesi. Prima di andare a dormire rispondo alle e-mail dei clienti e fisso gli incontri di lavoro a partire da martedì prossimo, l’11 febbraio, quando potrò finalmente uscire da qui».
Nessun sintomo di coronavirus?
«Nessuno: mi sento forte come un leone».
Dalla sua auto-reclusione, cosa vorrebbe dire a chi ora la guarderebbe con sospetto?
«Vorrei che gli italiani capissero che i tratti somatici non fanno di me un pericolo. Non sono un virus: io sono una persona».
"Non ho alcun sintomo ma mi sono auto-isolata per rispetto della Cina, della mia famiglia e dell’Italia che mi ha «adottata»