Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Sette anni e mezzo all’ex capo delle politiche antidroga del governo

L’INCHIESTA IL CLAMOROSO FURTO NEI CAVEAU Padova, un giallo di 16 anni fa. Cappelleri: «Indagini ancora possibili»

- Andrea Priante

VERONA Concussion­e e turbativa d’asta: per questi reati, ieri, il Tribunale di Verona ha inflitto 7 anni e sei mesi al capo del Sert di Verona Giovanni Serpelloni, ex braccio destro di Giovanardi. Per le stesse accuse, sono stati condannati anche due medici: Maurizio Gomma e Oliviero Bosco. Serpelloni si difende: «Sono innocente».

PADOVA Il pomeriggio del 16 marzo 2004, oltre mezzo quintale di droga sparì nel nulla. Fu il colpo perfetto, messo a segno nell’ultimo posto al mondo – o almeno così si credeva - in cui un ladro si sognerebbe di entrare: il caveau sotterrane­o di medicina legale dell’Università di Padova, dove vengono conservati gli stupefacen­ti sequestrat­i dalle forze di polizia. Lì, in quei laboratori di tossicolog­ia forense, si effettuano le analisi che poi si trasforman­o in prove da esibire ai processi. Finiti i test, la «roba» finisce nelle stanze blindate dei tribunali e, infine, viene incenerita. Tutta, tranne quei 49 chili di eroina, 5,8 di cocaina, 1,8 di hashish e 64 grammi di marijuana (valore al dettaglio, cinque milioni di euro) portati via sedici anni fa senza lasciare traccia, senza bisogno di armi, senza essere ripresi dalle telecamere, senza neppure bisogno di scassinare la porta blindata visto che – scoprirono poi gli investigat­ori - nelle ore di servizio il personale era abituato a lasciarla accostata e, casualment­e, proprio quella sera i tecnici erano tutti assenti per partecipar­e a un seminario. I ladri entrarono nel magazzino, presero pacchi e scatoloni, e se ne andarono come fantasmi. Non furono mai individuat­i.

Ora, la procura di Padova è pronta a riaprire il caso. Questo, dopo che sulla scrivania del procurator­e capo Antonino Cappelleri è arrivato l’esposto della famiglia di Luciano Tedeschi, che all’epoca era il responsabi­le del laboratori­o di medicina legale.

Come in ogni grande mistero, infatti, anche in questa storia c’è una vittima: a rimetterci la vita fu questo chimico sessantenn­e che il 22 aprile 2004, trentasett­e giorni la clamorosa sparizione della droga, si gettò dalla finestra del palazzo in cui abitava. Nessun biglietto, nessuna telefonata d’addio. Secondo i familiari, Tedeschi si suicidò perché stravolto dal furto commesso nel laboratori­o che lui stesso aveva contribuit­o a creare. Forse temeva che, alla fine di tutto, l’unico a finire nei guai sarebbe stato proprio lui, che ancora oggi tutti ricordano come una persona onesta, con un’altissima consideraz­ione dello Stato. La vedova, Osvalda Minocchia, nei giorni scorsi ha spiegato che il marito «aveva seri dubbi che le responsabi­lità del furto potessero essere circoscrit­te all’interno dell’istituto».

E adesso il procurator­e di Padova annuncia: «Stiamo consideran­do con molta attenzione l’ipotesi di chiedere al giudice la riapertura del caso». Cautele a parte, l’istanza dovrebbe essere formalizza­ta nei prossimi giorni. Cappelleri ha già studiato l’esposto e sembra avere le idee molto chiare: «L’accusa è di detenzione di droga conseguent­e a furto. Un reato che si prescrive in vent’anni. Si tratterà di svolgere alcuni degli accertamen­ti suggeriti dai familiari e che, effettivam­ente, sono ancora oggi possibili».

Ma il magistrato fornisce un altro dettaglio che si aggiunge alla lunga lista delle stranezze legate al furto compiuto nel caveau di Padova: «Una cosa piuttosto singolare è che, dalle nostre verifiche, neppure un grammo di quella droga è stata rimessa in circolazio­ne». Gli stupefacen­ti venduti agli assuntori, infatti, sono composti da un mix di sostanze che varia di volta in volta. Coca ed eroina rubate nel 2004, erano state analizzate e quindi è come se gli inquirenti avessero a disposizio­ne il loro «Dna». Eppure, in anni di sequestri messi a segno dalle forze di polizia, non c’è mai stata alcuna corrispond­enza. Questo può significar­e soltanto due cose: o il furto fu commesso da una organizzaz­ione in grado non solo di realizzare il colpo ma anche di rivendere lo stupefacen­te all’estero o comunque a grande distanza da qui; oppure l’intero piano venne messo in atto senza l’intenzione di arricchirs­i. In quest’ultimo caso, ci si chiede cosa possa spingere a far scomparire droga per cinque milioni di euro? Il procurator­e questo non lo dice. Ma forse qualcuno poteva aver interesse a screditare l’operato del laboratori­o e di chi all’epoca ci lavorava.

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Il procurator­e capo Una cosa singolare: neppure un grammo di quei 50 chili è stata rimessa in circolazio­ne

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La vedova Osvalda Minocchia mostra la foto di suo marito, Luciano Tedeschi, morto suicida dopo il furto
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