Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Condannato a 7 anni e mezzo l’ex capo delle politiche antidroga del governo

Verona, concussion­e per il software dell’Usl. Serpelloni, ex braccio destro di Giovanardi: io innocente

- Laura Tedesco

VERONA «Volete il software sviluppato dall’Usl di Verona? Dateci 100 mila euro». Così, stando all’accusa, avrebbero «effettuato pressanti richieste di denaro reiterate nel tempo»: peccato che quei tre medici fossero dipendenti pubblici e che il software fosse stato pagato con soldi della Regione Veneto e dell’Usl scaligera. Per questo il direttore del Sert di Verona, Giovanni Serpelloni, già a capo delle politiche antidroga di Palazzo Chigi, è stato condannato a 7 anni e mezzo di reclusione, oltre all’interdizio­ne dai pubblici uffici, per i reati di tentata e consumata concussion­e e turbativa d’asta.

Due reati di cui ieri alle 13, al termine di una camera di consiglio durata 4 ore, il Tribunale scaligero presieduto dal giudice Sandro Sperandio ha decretato responsabi­li anche due stretti collaborat­ori di Serpelloni, i medici Maurizio Gomma, che dovrà scontare 6 anni e mezzo, e Oliviero Bosco, a cui sono stati inflitti 4 anni e sei mesi. Tutti e tre, in solido, dovranno risarcire in via provvision­ale 20 mila euro per i danni d’immagine creati all’Usl in cui tuttora prestano servizio: «Assurdo, incredibil­e dover risarcire i danni d’immagine alla Usl dopo averla portata con il nostro lavoro e i nostri progetti ai vertici internazio­nali» reagisce Serpelloni. E aggiunge: «Rispetto questa sentenza ma la contraster­ò in ogni grado di giudizio. Né io né i miei colleghi abbiamo mai chiesto o intascato un euro in modo illecito, neppure una volta in oltre 40 anni di attività. Ma non mi arrendo, sto ricevendo tantissima solidariet­à, continuerò a combattere nei tribunali e nell’azione antidroga». Negli ultimi giorni,a Verona e non solo, l’ex braccio destro dell’allora sottosegre­tario Carlo Giovanardi è finito alla ribalta per il modello «proattivo» di lotta alle dipendenze tra i giovanissi­mi che prevede test antidroga nelle scuole: «Dopo questa condanna, il mio impegno su questo fronte proseguirà con una convinzion­e ancora maggiore. Lo faccio per tutti i ragazzi, ma soprattutt­o per i miei figli: sono 7 anni che vengo trattato da delinquent­e, io che come i miei due collaborat­ori sono innocente e ho sempre e solo fatto il bene della sanità pubblica».

I «7 anni da delinquent­e» vissuti da Serpelloni (65 anni) e dai colleghi Bosco (62 anni) e Gomma (63) iniziano con il benservito tra la fine del 2014 e i primi del 2015 dall’ex dg dell’allora Usl 20 Giuseppina Bonavina che sollevò dal loro incarico i vertici del Servizio tossicodip­endenze di Verona per la contestata titolarità dei diritti d’autore relativi al software Mfp attualment­e in uso a oltre un centinaio di Sert in tutta Italia. E questo perché, in base ai sospetti, Serpelloni e i due medici avrebbero preteso dalla società assegnatar­ia dell’assistenza e manutenzio­ne del software, la Ciditech, una percentual­e sulle somme incassate e poi, a nome dell’Usl ma per l’accusa all’insaputa della direzione generale, 100 mila euro a titolo risarcitor­io, minacciand­o la revoca dell’incarico. Quei tre «licenziame­nti in tronco», però, furono annullati poi con i pronunciam­enti a favore del reintegro del Tribunale del Lavoro di Verona e della Corte d’Appello di Venezia: anche la Corte Suprema, in ultima istanza, ha dato ragione ai medici, mettendo la pietra tombale sulla questione dei licenziame­nti e - almeno così sembravase­gnando anche l’iter del processo penale. Ma così non è stato: a giugno 2016, contro Serpelloni e i due colleghi, scattarono i domiciliar­i a fronte proprio della presunta richiesta di denaro da loro avanzata alla società Ciditech che gestiva il software «Mfp» utilizzato nei Sert di tutta Italia. Mfp è un sistema sviluppato dai tre imputati operando per conto dell’Usl di Verona e serve a gestire i dati riguardant­i i consumator­i di stupefacen­ti. Secondo il pm Paolo Sachar, i medici avrebbero preteso una percentual­e sulle somme incassate dalla società e 100 mila euro di risarcimen­to per il contributo che avevano fornito nel corso del tempo all’elaborazio­ne del software. Un modo, quest’ultimo, solo apparentem­ente legale, stando all’accusa, che contesta a Serpelloni di avere «richiesto una percentual­e sugli incassi della Ciditech derivanti dai contratti di assistenza stipulati con le strutture Sert in tutta Italia». Ma è soprattutt­o una raccomanda­ta spedita il 9 dicembre 2013 a costituire il centro dell’inchiesta perché formalizza - stando alla Procura - la richiesta di 100mila euro, con la giustifica­zione di premiare «asseriti diritti intellettu­ali vantati sul software». Richiesta che avveniva, secondo l’accusa, a titolo personale. E quella lettera costituisc­e il fulcro del processo di primo grado sfociato in un verdetto le cui motivazion­i verranno depositate tra 90 giorni. Una sentenza che prevede anche 40 mila euro di risarcimen­to a favore di Ciditech e l’assoluzion­e dei tre manager accusati di turbativa d’asta, Claudia Rimondo, Andrea Cacciatori e Luca Canzian. «Siamo già pronti a ricorrere in Appello, certi - annunciano i legali dei tre medici ( avvocati Nicola Avanzi, Marco Pezzotti, Chiara e Francesco Palumbo) - dell’innocenza dei nostri assistiti».

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In tribunale A sinistra il pm Paolo Sachar, a destra al suo fianco il capo del Sert Giovanni Serpelloni

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