Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Arbasino e le piccole vacanze a Cortina e Misurina
Le piccole vacanze a Cortina e Misurina, gli amati scrittori veneti
Se n’è andato il grande Alberto Arbasino, un altro gigante, che ovviamente avrebbe trovato ingombrante e grossier la stessa definizione di gigante, ma qui lo scriviamo lo stesso. Come definire altrimenti l’autore di gioielli come Le piccole vacanze, La bella di Lodi, Fratelli d’Italia, e di altri mille libri, articoli, recensioni, note a margine, e che inventò singole caratterizzazioni, espressioni regalate in modo perenne all’uso comune giornalistico come la gita a Chiasso (e cioè l’invito agli intellettualini italiani che erano rimasti con la testa nel provincialismo strapaesano ed asfittico del Ventennio, tuttalpiù riverniciato di togliattismo, ad andare simbolicamente a sciacquare i panni al di là del confine: la Svizzera italiana come minimo sindacale), e su tutte la casalinga di Voghera, archetipo del piccoloborghese declinato al femminile? Una penna pazzesca, colta, leggera, acuminata, che rivolgeva contro i retorici, i palloni gonfiati, gli arrivati della cultura. Una memoria capillare, maniacale, indefettibile (che triste contrappasso l’averla perduta negli ultimi tempi, che orrore la vecchiaia, e che orrore tutta la vita, se presa dal punto di vista di uno che perde la memoria…).
Un sense of humor inarrivabile e schiettamente borghese: lui, Franca Valeri, Paolo Poli,
Luigi Meneghello, pochi altri. Rileggersi, nei tempi grami del coronavirus, i Ritratti italiani, editi da Adelphi come tutta la sua opera, con le pennellate a volte soavi (quando racconta di re Umberto a Lisbona, una cena in una sera remota) a volte crudeli, quando sfotte (da vivo) Antonioni, «uno che tollera solo giudizi dall’entusiasmo in su» e la mistica pseudomarxiana dell’«alienazione»: che era la parola in codice per i cretinetti à la page degli anni Settanta.
Andarsi a cercare, tra questi, qualche ritratto «veneto». Ecco Giovanni Comisso: «Fino a poco fa esistevano scrittori liberi e non funzionari, per niente inseriti nelle aziende editoriali o universitarie o televisive, lontanissimi (a loro scapito) dalle carriere negli apparati delle produzioni di merci culturali stagionali secondo ricerche di mercato e tempi di lavorazione per lo sfruttamento dei brevetti e delle ricette… La favorita è un’Italia in terza classe bellissima e disinteressata, e spesso sublime… una prosa tra le più affascinanti e sensuali del Novecento europeo».
Lo scrittore ormai anziano Arbasino lo ritrae mentre si abbandona a «una flânerie ormai amara fra gli incanti sempre più smagliati di quel Veneto che andava decomponendosi accumulando zone industriali e cementifici divoratori di colli, riducendo gli spazi intorno ai Palladio… Il signor conte che ha venduto una specchiera e grida “facciamo una festa!”, e carica sull’unica fuoriserie rossa della provincia cassette di spumante e salami e giovanotti un po’ folli senza sigarette e senza soldi perché non c’è ancora Benetton…». Ecco Goffredo Parise: « inappuntabile, ineccepibile, L’eleganza è frigida… La griffe soffice e tagliente della ferma e delicata prosa dei Sillabari… Col suo gusto per un “grottesco” un po’ dandy e molto insolito, in stivali da caccia e camicie di seta, Goffredo prese a remare e a sciare fra le risacche e le accidie della provincia “religiosa” e del populismo “progressista’». Restare in Veneto, per seguirlo nelle Piccole vacanze a Cortina e a Misurina: «Io in montagna non faccio neanche un passo a piedi; lascio che le passeggiate le facciano gli altri. Così prendevamo la macchina e facevamo grandi giri, lasciando gli altri alle loro scalate, e a cader giù dalle cime che hanno i nomi di tante disgrazie. Quando muoiono le cordate è una cosa che non mi commuove proprio: facciano come me, stiano giù». Arbasino, che l’ultima volta era stato a Cortina pochi anni fa, era a tratti così fantasticamente involuto, criptico, quasi incomprensibile. Uno dice: perché questo? È chiaro il perché, solo così ci si allontana dalla marmaglia che vuole la prosa piana, elementare, sempre accessibile, solo così costringi il lettore a studiare e a capire. Se vorrà, altrimenti amen, al mondo c’è posto per tutti. Una lezione tra tante viene da lui, da Cesare De Michelis e dagli altri della vecchia generazione che ci lascia: importa il testo, certo, ovvio, ma importano forse altrettanto il contesto, il sottotesto, l’implicito, il riferimento, l’allusione. È questa una banalità, ma leggendo novantanove libri di oggi su cento si troverà che non è così banale.