Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
SERVIREBBERO LE TAVOLE DI LEONTIEF
Raccontava il premio Nobel Wassily Leontief che in piena seconda guerra mondiale il presidente Roosevelt era andato su tutte le furie perché, avendo ordinato la produzione di 50.000 aerei da schierare in battaglia, aveva visto accumularsi ritardi insopportabili non per mancanza di alluminio, di cui gli aeroplani erano fatti, ma delle celle elettrolitiche di rame necessarie per la produzione dell’alluminio stesso. Ci si era preoccupati della tecnologia della produzione di aeroplani, ma non di quella dell’alluminio. Leontief, allora capo della sezione economica dei servizi strategici dello stato maggiore americano, aveva segnalato il problema (risolto - se la rideva Leontief — usando, al posto del rame, argento preso da Fort Knox) e mostrato come si poteva evitare l’insorgere di altre strozzature nella produzione di guerra, usando le «tavole input-output», che aveva costruito ad Harvard negli anni ‘30 per descrivere le tecnologie di tutti i settori produttivi dell’economia Usa e misurarne l’interdipendenza. Capita l’importanza dello strumento, il governo americano finanziò la costruzione di tavole e modelli input-output che descrivevano l’interdipendenza tra più di 400 settori produttivi dell’economia americana del 1947.
Modelli che aiutarono la riconversione postbellica dell’economia americana consentendo di rispondere a domande quali «quanto acciaio occorre produrre in più a Pittsburgh, o quanta gomma per pneumatici in più ad Akron, se in Florida qualcuno domanda una nuova Chrysler prodotta a Detroit?». Domande non diverse da quelle che si è dovuto porre il presidente Conte nello scrivere uno dei decreti più drammatici e carichi di
responsabilità della storia repubblicana: quello che ferma l’economia del Paese fino al 3 aprile prossimo (ma basterà?), a meno delle «produzioni essenziali», da scegliere, queste, chirurgicamente sapendo di risultare inefficace contro il contagio, se troppo generoso, o creatore di macerie economiche inutili, se troppo restrittivo. Di sicuro a Conte sarebbe stato utile avere un Leontief vicino a sé - o anche solo un allievo dei suoi allievi - per definire in modo trasparente, sottratto alle contestazioni - inevitabili quando il provvedimento sarà sottoposto alla doverosa convalida del Parlamento, le produzioni essenziali, quelle da escludere dal drammatico fermo totale. Conte sarebbe così potuto partire dalla definizione, questa sì discrezionale e da lasciare aperta alla discussione parlamentare , dei «consumi essenziali» coerenti con lo «stile di vita» di emergenza da imporre per decreto. Cibo, medicinali, giornali, servizi di pubblica utilità, strumenti e servizi per lavorare, studiare, comprare a distanza e poco altro ( o anche i libri? Il tabacco? i prodotti – diversi dal cibo - per animali domestici? i servizi professionali non sanitari?). Ma poi sarebbe potuto passare, in modo indiscutibile - non rimediabile scaricandolo sulla responsabilità dei Prefetti- dai consumi essenziali alle attività di «produzione e distribuzione essenziali»: solo quelle risultanti direttamente o «indirettamente» necessarie, risalendo a ritroso le interdipendenze strutturali descritte dalle tavole alla Leontief, ad assicurare alle famiglie i beni e servizi di consumo essenziale. Il tutto con una definizione più fine, e più giusta, di quella delle categorie ATECO indicate nell’allegato al decreto. Nel farlo si sarebbe poi accorto anche del ruolo delle «importazioni essenziali» e della necessità di evitare che queste restino indistintamente bloccate nei porti o in qualche magazzino. Aggiungendo a queste - come prescrive il decreto - le produzioni di rilevanza strategica per l’economia nazionale e quelle a ciclo continuo si sarebbe arrivati a una definizione rigorosa delle attività da non fermare. Un obiettivo prezioso per far superare ad un provvedimento tanto grave il doveroso sindacato del Parlamento. Così come per creare le condizioni di necessaria convergenza tra il provvedimento nazionale e quelli regionali. Ma soprattutto un esercizio che farebbe acquisire alla politica un metodo per risolvere i problemi cruciali che si porranno al momento del rilancio dell’economia italiana del dopo coronavirus: una riconversione anch’essa postbellica: non diversa da quella affrontata con successo l’America di Truman con un occhio alle tavole di Leontief del 1947.