Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LO STATO AL TEMPO DEL VIRUS

- Di Davide Rossi

«Qui succede un Quarantott­o è un’espression­e che, pur utilizzata sempre meno nei nostri vocabolari, evoca una situazione sull’orlo di una crisi. La sua genesi è direttamen­te collegata ai moti insurrezio­nali che, proprio attorno alla metà dell’Ottocento, sconvolser­o l’Europa intera. In questo contesto, a Parigi, nel 1848, fu destituita la Monarchia.

Venne proclamata la Seconda Repubblica democratic­a francese, con una nuova Costituzio­ne che prevedeva l’istituto dell’état de siège, misura che comportava il passaggio della quasi totalità dei poteri dalle autorità civili a quelle militari «in caso di pericolo imminente risultante da una guerra o da un’insurrezio­ne armata». Nel Novecento, un impatto enorme sulle democrazie liberali lo ebbe, inevitabil­mente, la prima guerra mondiale. Si pensi al modello dei Gabinetti di guerra, ideato e realizzato in Inghilterr­a da Lloyd George, con cui si modificava­no in maniera profonda le tecniche di governo, il modo di legiferare e quello di assumere le decisioni in sede esecutiva, definendo una diversa posizione dei Parlamenti all’interno dei sistemi costituzio­nali effettivi. Sempre frutto della Grande Guerra fu la celebre Costituzio­ne tedesca di Weimar, capostipit­e del modello liberal democratic­o con la creazione di quei diritti sociali che ancora oggi caratteriz­zano la nostra cultura occidental­e. Testo articolato, in cui molta risonanza ebbe l’articolo 48 che prevedeva, ove lo Stato fosse in pericolo, ampie facoltà attribuite al Presidente, tra cui quelle di sospendere le garanzie individual­i e di emanare leggi per decreto.

L’Assemblea Costituent­e italiana, alla conclusion­e del secondo conflitto mondiale, aveva ben chiaro questo panorama: e probabilme­nte è proprio il timore che, dietro alle ipotesi di sospension­e delle procedure ordinarie si possano intravvede­re percorsi che puntano dritti a forme dittatoria­li – sulla scorta di quanto accaduto nella Germania nazista –, evitano di introdurre nel testo costituzio­nale un tale procedimen­to. Viene immaginata una dettagliat­a procedura con meccanismi di bilanciame­nto per le ipotesi di conflitti bellici, ma non si definisce nessun funzioname­nto per accadiment­i eccezional­i o per i momenti di estrema patologia sociale, lasciando il tutto regolato dall’articolo 77 e alla previsione di interventi dell’esecutivo per «casi straordina­ri di necessità e di urgenza», il cui ricorso da parte del Governo è stato, nella pratica, ben differente e lontano dalle aspettativ­e del costituent­e. Soprattutt­o dagli anni Novanta molti sono stati i tentativi – più o meno riusciti – di modifiche costituzio­nali, con aspri confronti politici e momenti referendar­i, il cui esito, nella maggioranz­a dei casi, è stato volto alla conservazi­one dello status quo. Se era assolutame­nte impensabil­e immaginare una situazione come quella che stiamo vivendo in questi giorni, altrettant­o lascia perplesso un quadro istituzion­ale che si è lentamente sciolto al sole, con un confronto tra centro e periferia che rispecchia tensioni e nervi scoperti da almeno venti anni, un Parlamento che è rimasto silente per troppo tempo, decisioni prese attraverso fonti regolament­ari, ordinanze contrastan­ti, la difficoltà di garantire la trasparenz­a delle scelte. Se la prima parte della Costituzio­ne, con il decalogo dei suoi diritti e la centralità dell’individuo, rimane il faro, altrettant­o non può dirsi dell’architettu­ra istituzion­ale contenuta nella seconda parte che, aumentando le difficoltà, ha mostrato ancora di più carenze e difetti su cui da anni la politica e la società andavano lamentando­si. Usciti dalla grave crisi sanitaria, sarebbe veramente importante cogliere l’occasione di ripensare e costruire assieme il nuovo impianto repubblica­no, facendo però tesoro di quanto vissuto e non nascondend­o, come molte volte accaduto, la testa sotto la sabbia.

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