Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LO STATO AL TEMPO DEL VIRUS
«Qui succede un Quarantotto è un’espressione che, pur utilizzata sempre meno nei nostri vocabolari, evoca una situazione sull’orlo di una crisi. La sua genesi è direttamente collegata ai moti insurrezionali che, proprio attorno alla metà dell’Ottocento, sconvolsero l’Europa intera. In questo contesto, a Parigi, nel 1848, fu destituita la Monarchia.
Venne proclamata la Seconda Repubblica democratica francese, con una nuova Costituzione che prevedeva l’istituto dell’état de siège, misura che comportava il passaggio della quasi totalità dei poteri dalle autorità civili a quelle militari «in caso di pericolo imminente risultante da una guerra o da un’insurrezione armata». Nel Novecento, un impatto enorme sulle democrazie liberali lo ebbe, inevitabilmente, la prima guerra mondiale. Si pensi al modello dei Gabinetti di guerra, ideato e realizzato in Inghilterra da Lloyd George, con cui si modificavano in maniera profonda le tecniche di governo, il modo di legiferare e quello di assumere le decisioni in sede esecutiva, definendo una diversa posizione dei Parlamenti all’interno dei sistemi costituzionali effettivi. Sempre frutto della Grande Guerra fu la celebre Costituzione tedesca di Weimar, capostipite del modello liberal democratico con la creazione di quei diritti sociali che ancora oggi caratterizzano la nostra cultura occidentale. Testo articolato, in cui molta risonanza ebbe l’articolo 48 che prevedeva, ove lo Stato fosse in pericolo, ampie facoltà attribuite al Presidente, tra cui quelle di sospendere le garanzie individuali e di emanare leggi per decreto.
L’Assemblea Costituente italiana, alla conclusione del secondo conflitto mondiale, aveva ben chiaro questo panorama: e probabilmente è proprio il timore che, dietro alle ipotesi di sospensione delle procedure ordinarie si possano intravvedere percorsi che puntano dritti a forme dittatoriali – sulla scorta di quanto accaduto nella Germania nazista –, evitano di introdurre nel testo costituzionale un tale procedimento. Viene immaginata una dettagliata procedura con meccanismi di bilanciamento per le ipotesi di conflitti bellici, ma non si definisce nessun funzionamento per accadimenti eccezionali o per i momenti di estrema patologia sociale, lasciando il tutto regolato dall’articolo 77 e alla previsione di interventi dell’esecutivo per «casi straordinari di necessità e di urgenza», il cui ricorso da parte del Governo è stato, nella pratica, ben differente e lontano dalle aspettative del costituente. Soprattutto dagli anni Novanta molti sono stati i tentativi – più o meno riusciti – di modifiche costituzionali, con aspri confronti politici e momenti referendari, il cui esito, nella maggioranza dei casi, è stato volto alla conservazione dello status quo. Se era assolutamente impensabile immaginare una situazione come quella che stiamo vivendo in questi giorni, altrettanto lascia perplesso un quadro istituzionale che si è lentamente sciolto al sole, con un confronto tra centro e periferia che rispecchia tensioni e nervi scoperti da almeno venti anni, un Parlamento che è rimasto silente per troppo tempo, decisioni prese attraverso fonti regolamentari, ordinanze contrastanti, la difficoltà di garantire la trasparenza delle scelte. Se la prima parte della Costituzione, con il decalogo dei suoi diritti e la centralità dell’individuo, rimane il faro, altrettanto non può dirsi dell’architettura istituzionale contenuta nella seconda parte che, aumentando le difficoltà, ha mostrato ancora di più carenze e difetti su cui da anni la politica e la società andavano lamentandosi. Usciti dalla grave crisi sanitaria, sarebbe veramente importante cogliere l’occasione di ripensare e costruire assieme il nuovo impianto repubblicano, facendo però tesoro di quanto vissuto e non nascondendo, come molte volte accaduto, la testa sotto la sabbia.