Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Bocchetta: «Ora il nemico è invisibile»
Bocchetta: il 25 aprile ero ancora prigioniero, il mio messaggio per oggi
«Come allora siamo in uno stato di guerra. Solo adesso quel nemico è invisibile..». Parla Vittore Bocchetta, 101 anni, ex deportato politico in Germania durante la seconda Guerra Mondiale.
Un numero. Il 21631. Il suo numero di «immatricolazione». Che non gli è stato tatuato sulla pelle, perché come va spiegando sempre lui «veniva tatuato solo chi finiva nella fabbrica di Auschwitz». Ma che gli si è cicatrizzato sull’anima. Il numero 21631, che doveva essere tenuto nel taschino della giacca. Quella su cui lui aveva imbastito il triangolo rosso, riservato ai prigionieri politici. Quelli pericolosi. Quelli come lui o come Norberto Bobbio, con cui si conobbe nel 1943 nella sala cinematografica della palazzina Corridoni a Verona, trasformata in quartier generale della polizia federale fascista. La giacca che indossava in quello che è stato il suo lager. Prima il blocco E al campo di transito di Bolzano. Poi l’odissea sul «Trasporto 81», sfilza di carri bestiame che l’ha portato in Germania. E da lì, il 7 settembre 1944, il lager di Flossenbürg. Ci campeggiava, all’ingresso, la stessa scritta di Auschwitz. Quell’ «Arbeit Macht Frei», il lavoro rende liberi, che lui ha sempre definito «una delle tante beffe della speranza». Compirà 102 anni a novembre, Vittore Bocchetta. Era maggio del 1945, quando gli americani interruppero la «marcia della morte», che a lui e agli altri prigionieri di un Flossenbürg evacuato avevano imposto i nazisti. Tornò in Italia un mese dopo. Troppo tardi per festeggiare la Liberazione. Ma non per portare avanti il significato del 25 Aprile, lui che fece parte anche della «commissione di epurazione» dalla quale «mi dimisi, disgustato».
Professore Bocchetta, lei il 25 Aprile era ancora in campo di concentramento, ma ne respirò i motti quando tornò a Verona...
«In quel momento, in quegli anni, il 25 Aprile aveva soprattutto un significato: la sconfitta dei tedeschi. Era l’unica cosa importante. E per certi versi aveva obnubilato gli italiani, che commisero anche cose disdicevoli come piazzale Loreto. Io fui tra quelli che si opposero all’impiccagione di Mussolini. La trovavo una vergogna, per un popolo civile. Ma sono sempre stato e mi sono sempre dichiarato un indipendente, anche all’interno del comitato di liberazione nazionale...».
Adesso, a distanza di 75 anni da quel giorno, si può dire cosa è stato veramente il 25 Aprile...
«È stato tutto. L’inizio di tutto. È stato un Risorgimento. Per il Paese, ma anche per le persone che cominciarono ad avere più chiaro il concetto di libertà e iniziarono a desiderarla. Ne fu la base e lo fu anche per un altro concetto, quello di giustizia che in quel momento era prioritario. C’era da “mettere a posto i conti”, rinascere e chiudere capitoli come la carestia, la fame, i campi di concentramento».
Lei ha anche scelto, per oltre 40 anni, di esiliarsi dall’Italia dopo essere stato aggredito e picchiato a Verona per aver espresso la sua contrarietà dopo un episodio simile avvenuto contro degli anticomunisti. Ha vissuto in Argentina, Venezuela, negli Stati Uniti. E quando è tornato, negli anni Ottanta, ha deciso di andare nelle scuole e raccontare. Perchè?
« Perché ritengo fondamentale spiegare ai ragazzi il concetto di libertà. E lo si può fare solo con la memoria. La memoria è la lezione della vita. La memoria di quello che è accaduto e che può tornare serve per affrontare i pericoli. Libertà vuol dire essere padrone della propria anima, delle proprie idee. Calata nella vita di un Paese è la democrazia. Ed è tutto...».
Nella sua lunghissima vita c’è stato tutto: la guerra, il campo di concentramento, l’esilio e adesso anche il coronavirus che ammanterà anche questo 25 Aprile...
«È una calamità imprevista. Una carestia, ma - come quella che ho già vissuto - è destinata a passare. Come allora siamo in uno stato di guerra. Solo che allora il nostro nemico lo conoscevamo e la lotta era anche “fisica”. Adesso quel nemico è invisibile..».
La Festa della Liberazione quest’anno non conoscerà momenti celebrativi pubblici. Serve comunque secondo lei ricordarla?
«È fondamentale. Il ricordo, come spiegavo prima, va perpetuato. E gli italiani si devono ricordare che, nel bene o nel male, quello che sono adesso, quello che è il loro Paese è germogliato da lì. Perché tutto, anche la democrazia, è partita da lì».
Che augurio fa per questo 25 Aprile sotto il segno di Covid 19?
«L’augurio è che ogni persona impari a essere indipendente. Liberi lo si può essere comunque, anche sotto un padrone che in questo caso potrebbe essere il coronavirus. In campo di concentramento, ad esempio, la libertà arrivava. Ed era la morte. La vera libertà per ogni essere umano è l’indipendenza. Anche da questo flagello...».
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La lotta che affrontai era fisica, con il virus non è così Il ricordo va perpetuato