Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Gravi ritardi dalla Cina ma il virus si auto-spegnerà Ora si deve riaprire l’Italia»
Secondo l’immunologo dell’Umberto I di Roma il vaccino non è la soluzione: «Sarà pronto quando il Covid sarà morto. Patente di immunità? Non esiste» Le Foche: giusto curare i pazienti a casa, non la quarantena di 14 giorni
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«Che il virus sia destinato a spegnersi non è un’ipotesi, è una certezza».
Professor Francesco Le Foche, immunologo del Policlinico Umberto I di Roma, le sue parole fanno ben sperare.
«È un dato di fatto, confermato dalla storia. Tutti i coronavirus hanno fasi pandemiche che si riducono man mano che si riduce l’entropia sociale. La circolazione del virus è già diminuita molto grazie al distanziamento sociale; giorno dopo giorno la sua vitalità e la sua carica biologica si abbasseranno sempre di più, fino ad una “morte programmata”. È stato così anche con la Sars e con la Mers».
Non è ciò che dicono alcuni suoi colleghi, che al contrario teorizzano una lunga convivenza col virus.
«Lo so, la comunicazione del mondo scientifico in questi mesi è stata caotica, ciascuno parla dal proprio oblò e per l’opinione pubblica è difficile orientarsi. Io mi affido alla storia, come le ho detto, che ci dà indicazioni chiare. In due mesi abbiamo imparato molto su questo virus e i risultati si vedono. Purtroppo abbiamo scontato il grave ritardo con cui le informazioni ci sono arrivate dalla Cina».
L’Italia è stata colta di sorpresa?
«Sì, per la rapidità con cui questo virus si diffonde. Ormai è noto: tante persone, in un tempo ristretto, si sono rivolte agli ospedali bisognose di cure intensive e il sistema è andato sotto stress, specie in Lombardia, dove c’è una cultura ospedale-centrica sicuramente d’eccellenza ma che ha finito per portare il virus in corsia, con i risultati catastrofici che abbiamo visto».
Meglio restare a casa? Molti pazienti si sono lamentati per questo.
«Se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa esperienza è l’importanza di curare il paziente a domicilio nei primi 7 giorni. È la chiave. E si può fare non là dove le cure ospedaliere sono migliori, come appunto in Lombardia, ma dove la medicina territoriale è forte, radicata e funziona, come in Veneto. Mi riferisco alla filiera che parte dal medico di base e solo alla fine arriva all’ospedale. Questa è la salute pubblica ed è ciò che rende civile un Paese».
Un’altra certezza riguarda la quarantena: i 14 giorni non bastano.
«È vero, ormai la finestra è stata allungata a 21-28 giorni, specie a fronte di un tampone positivo; i 14 giorni possono bastare per un asintomatico».
Il vaccino risolverà il problema alla radice?
«Potrà essere un ausilio ma
Francesco Le Foche L’Italia è stata colta di sorpresa e il lockdown era l’unico modo per ridurre la pressione sulle terapie intensive
francamente dubito sarà la soluzione».
Perché?
«Perché arriverà tra un anno, un anno e mezzo, e per allora, come le ho detto, il coronavirus non ci sarà più. Per la Sars il vaccino non esiste; ma la Sars non c’è più».
E la cura farmacologica, a che punto è?
«Non esiste terapia al momento ma come tutte le broncopolmoniti parliamo di una malattia infiammatoria, che come tale va curata. Abbiamo visto che quando si riesce a ridurre l’infiammazione nei primi 4-5 giorni, poi raramente il paziente arriva in ospedale. Lo si cura a casa».
Che ne pensa della patente di immunità?
«Non esiste, si tratta della semplificazione di un concetto più complesso che riguarda lo studio sugli anticorpi. Ci sono test rapidi immunocromatografici, quelli che giustamente Zaia vorrebbe fare a tappeto per “fotografare” il Paese. Poi ci sono i test di cui parla il commissario Arcuri, di neutralizzazione virale, che vanno a caccia degli anticorpi immunizzanti: verosimilmente saranno commercializzati dopo il 29 aprile. Con la Sars gli anticorpi duravano 4-5 anni ma oggi non siamo in grado di dare certezze. Allo stesso tempo stiamo studiando l’immunità solidale, o di gregge, partendo dai casi sorprendenti di Ortisei e Selva di Val Gardena, dove il 60% degli abitanti è risultato positivo».
Col senno di poi, il lockdown era necessario?
«È stato importantissimo. Quando è stato deciso era l’unico modo per allentare la pressione su pronto soccorso e terapie intensive. Ci ha dato il tempo necessario per mettere a punto le prime risposte». Lei riaprirebbe ora?
«Sì. Il decalage ha un trend significativo, avanti di questo passo entro due settimane in molte Regioni il virus sarà azzerato. Certo ci vuole cautela, una programmazione razionale. Ma ricordiamoci che la Cina ha chiuso una regione. Qui abbiamo chiuso un’intera nazione».