Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’effetto collaterale del lockdown «Ragazzi drogati di videogame»
Allarme degli esperti: in Veneto 23mila giovani hanno un rapporto «problematico» con le nuove tecnologie
VENEZIA Sono oltre ventimila i veneti tra gli 11 e i 15 anni che hanno un rapporto «problematico» con social e videogame. «Il lockdown ha aumentato le dipendenze».
VENEZIA Matteo ha 13 anni e la passione per i videogame. Uno, in particolare: «Fortnite», lo sparatutto preferito dagli adolescenti. Quando il papà, preoccupato per il troppo tempo che trascorre incollato allo schermo, ha minacciato di sequestrargli la PlayStation, lui è come impazzito: «Non me la puoi togliere!», ha strillato. «Poi ha preso in mano un coltello da cucina e, per qualche secondo, me l’ha puntato contro» racconta l’uomo, che davvero non riesce a capire come il suo ragazzo - che non gli ha mai dato problemi in passato - possa aver perso il controllo in quel modo. «È soltanto un gioco», ripete.
In realtà è un problema diffuso. Gli esperti lo chiamano «Internet Gaming Disorder», che tradotto è la dipendenza da videogame. E come è capitato a questo tredicenne padovano, durante il lockdown tantissimi adolescenti veneti sembrano aver sviluppato un’ossessione al limite del patologico per il joystick.
«L’impressione è che nelle prossime settimane potremmo dover fare fronte a un’impennata dei casi di “gaming”» spiega la psicologa veronese Giuliana Guadagnini, responsabile del «Punto Ascolto» attivato in collaborazione con il provveditorato per affrontare le situazioni di disagio legate al mondo della scuola. «Per due mesi gli studenti sono rimasti bloccati in casa, costretti a trascorrere ore davanti al computer anche solo per seguire la didattica a distanza.
Molti hanno trovato nelle consolle un alleato contro l’isolamento, visto che le sfide proposte dai titoli di maggiore successo, come “Fortnite” o “Call of Duty”, si affrontano in gruppo, collegati a distanza via internet. Insomma, durante il lockdown giocare è diventato il modo principale per rimanere in contatto con i propri amici».
Guadagnini scorre al computer alcune delle e-mail ricevute negli ultimi giorni. «Non riesco a staccare mio figlio dodicenne dalla consolle»; «Da quando ho minacciato di portargli via la Xbox lui si rifiuta di mangiare»; «Ha tredici anni, come faccio a fargli capire che continuare in questo modo può essere dannoso per la sua salute?».
Ma prima di convincere i ragazzi a staccare gli occhi dallo schermo, gli adulti dovrebbero sapere con cosa hanno a che fare. «Abbiamo organizzato degli incontri per parlare di nuove tecnologie ai genitori dei nostri studenti», spiega
Maria Mogavero, che insegna in un circolo didattico della provincia di Verona. «Occorre capire che i videogame possono nascondere delle insidie ma non vanno demonizzati, perché ormai fanno parte della vita dei nostri ragazzi».
Ci sono giochi che permettono di accedere a livelli paralleli a quelli «ufficiali». E così i ragazzini possono interrompere una guerra con gli alieni e ritrovarsi a scommettere soldi (veri) dentro un casinò virtuale. Mogavero ha assistito al racconto di uno studente di 12 anni che, con il benestare dei genitori, si cimentava con «Gta», altro titolo cult tra gli adolescenti. «Era abilissimo e durante il giorno raccoglieva molti punti», spiega l’insegnante. «Punti che poi il padre utilizzava, la notte, per pagare le prestazioni delle prostitute virtuali presenti nel videogioco del figlio».
Anche gli adulti, quindi, finiscono per lasciarsi «ingabbiare» dalle sfide on-line. All’università di Padova c’è un’equipe che studia proprio la dipendenza da internet, a partire dall’adolescenza. Presto uscirà una ricerca dalla quale emerge che circa il 10 per cento dei veneti tra gli 11 e i 15 anni ha un rapporto problematico con social e videogame. Significa che, solo nella nostra regione, ci sono all’incirca 23mila ragazzini sotto i 16 anni che hanno un rapporto «malato» con computer e telefonini.
A coordinare il lavoro dell’equipe è il professor Alessio Vi eno, che a v ve r te : « I l lockdown va considerato una parentesi all’interno delle nostre vite durante la quale le nostre abitudini sono state stravolte. Solo nei prossimi mesi si potranno valutarne le ricadute e capire se è davvero aumentato il numero di chi, per non smettere di giocare, è disposto a rinunciare ad aspetti fondamentali della propria quotidianità, dall’igiene alla frequentazione di altre persone». Nel caso, si dovrà intervenire per aiutare i ragazzi a uscire dalla dipendenza. Come? «Sequestrare la consolle non serve a nulla», assicura la dottoressa Guadagnini. «Un buon modo, è decidere assieme ai nostri figli il tempo che quotidianamente potranno dedicare a questa loro passione. Ma soprattutto è importante che i genitori condividano l’esperienza: anche noi adulti dobbiamo imparare come si gioca ai videogame».
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La psicologa
Molti hanno trovato nei videogiochi un alleato contro l’isolamento dovuto al coronavirus