Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Pubblico, uno su due lavora da casa
Uffici statali, Comuni e Province: 75 mila in smart working. La Regione convoca i sindacati per istituzionalizzarlo
VENEZIA Un dipendente pubblico su due sta ancora lavorando da casa. Incertezze e punte avanzate, come la Regione che ha pronta una delibera per regolamentare lo smart working dei suoi dipendenti.
VENEZIA «L’Italia è ancora una Repubblica “fondata sul lavoro”?» twitta il sindaco di Milano, Beppe Sala, spiegando «bene lo smartworking ma è ora di tornare a lavorare». Parole infelici per cui nei giorni scorsi è stato crocifisso. Perché i fan dello smart working sostengono si arrivi a lavorare persino di più. Senza contare il dato logistico: gli uffici son stretti e le norme anti virus altrettanto. Vale per il pubblico come per il privato. Banca Intesa, ad esempio, ha messo il personale in rotazione con 4 giorni in sede e uno da casa.
In Veneto un dipendente pubblico su due è ancora in smart working: oltre 75 mila persone su 151 mila. La parte del leone la fa il sistema delle autonomie locali(85.000), segue la sanità (56.000) a cui vanno aggiunti i 10 mila dipendenti diretti di enti statali (Inps, Inail, Agenzie e così via). Sono tanti o pochi? Secondo i pochi dati ufficiali disponibili, il Veneto è penultimo nella classifica nazionale delle regioni che più hanno fatto ricorso a questo strumento. Qui ci si ferma al 52%, meglio solo la Calabria col 46. A Bolzano, Arno Kompatscher sta firmando un’ordinanza che riporta lo smart working per i dipendenti provinciali allo stato di «eccezione». C’è, infatti, chi etichetta a priori il dipendente pubblico come «fannullone» ma sono i sindaci per primi a riconoscere il livello di produttività raggiunto. Poi ci sono i fautori dell’«indietro non si torna». Smart working come rivoluzione copernicana nella dialettica fra il salotto di casa e la scrivania in ufficio. «Al momento c’è un certo caos - spiega Carlo Rapicavoli, direttore di Anci e Upi - perché siamo alle prese con due norme egualmente emergenziali ma contraddittorie. Nel Cura Italia si introduce l’incentivo al lavoro agile fino alla fine dello stato d’emergenza, cioè il 31 luglio, ma nel decreto Rilancio si aggiunge che gradualmente si dovrà tornare al lavoro. Siamo in attesa di chiarimenti da Roma».
Sono già in molti a ragionare sulla media distanza. «Si parla di smart working - spiega il segretario della Cisl, Gianfranco Refosco - ma si è trattato di telelavoro non essendoci stata un’evoluzione di modalità organizzative tale da parlare di vero lavoro agile come lo definisce la norma. Il lavoro di regolamentazione ora è una priorità ma tutti i dati comunicati al ministero del Lavoro non sono accessibili. Eppure un serio ragionamento sul vero lavoro agile, con momenti in presenza in cui si salva la relazione fra colleghi, va fatto».
La Funzione pubblica della Cgil, da parte sua, ha lanciato un questionario fra i quasi 3000 dipendenti della Regione sul tema. «Sul lavoro da remoto, perché così va chiamato ciò che è stato nei mesi scorsi - spiega il segretario Ivan Bernini - ed emergono già aspetti importanti. Non si è lavorato meno, spesso si è lavorato di più. Punti critici, l’infrastruttura della rete e l’accessibilità ai documenti di lavoro ma anche la scarsa interazione fra
"Forcolin Pronti alla sfida: investimenti in software, sicurezza e digitalizzazione dei documenti
"Battaglini La situazione in tribunale è drammatica, servono scelte precise dal ministero
software regionali e di altri enti». Il vocabolario sindacale si è rapidamente arricchito di espressioni come «diritto di disconnessione». Dall’altra parte dello sportello virtuale, poi, ci sono i professionisti. Anna Buzzacchi, presidente dell’ordine degli architetti veneziani, ad esempio, riconosce che seppur da remoto le pratiche edilizie e urbanistiche nei comuni andavano avanti ma che, a oggi, la sovrintendenza è ancora chiusa. Fra chi, invece, abbraccia un futuro di lavoro smart, c’è palazzo Balbi. «Abbiamo convocato le parti sociali la prossima settimana - spiega il vicepresidente della Regione, Gianluca Forcolin per condividere la bozza di una delibera che punta a impostare e regolare lo smart working, siamo perfettamente allineati con i sindacati su questo». Su 2.749 dipendenti regionali, 1.428 al 21 aprile erano ancora registrati come smartworker, il picco massimo è stato di 2.156 lavoratori ora già tornati in buona parte a Venezia. Fra i punti del piano per lo smartworking in Regione c’è il ciclopico lavoro di digitalizzazione del 70-80% di documenti ancora in faldoni cartacei ma anche un investimento in software che blindino la sicurezza dei vpn dell’ente.
Lo stesso ragionamento servirebbe per la giustizia che più di altri gangli vitali della vita pubblica è rimasta paralizzata dalla pandemia. Anche qui, per espressa direttiva del Guardasigilli, non si è potuto avere accesso esterno alle pratiche. Un blocco che con il carico di arretrati già presente causa carenza d’organico del 30% ad esempio a Venezia, risulta disastroso. Giorgio Battaglini, Presidente della Camera Civile veneziana, spiega: «Dal primo luglio dovrebbero ripartire i processi in presenza. Ma tutte le udienze già fissate fino a fine anno seguiranno la modalità da remoto o con trattazione scritta. Così si perde l’oralità che è fondamentale, pensiamo a due coniugi in regime di separazione». Fra i problemi più urgenti ci sono gli sfratti e le esecuzioni, solo di sfratti, ad esempio a Venezia, se ne contano 190 pendenti. «È una situazione drammatica ma purtroppo in media con ciò che accade in tutto il Paese - spiega Battaglini - ma la preoccupazione è massima per lo stallo. Sembra non si voglia riattivare la macchina della giustizia con responsabilità che sono nazionali. Scelte mancate che si traducono in drammi veri come l’ impossibilità di nominare un amministratore di sostegno per un’ anziana che ne necessita per restare in casa di riposo ». Ci sono centinaia di istanze inevase, migliaia di pec ancora da aprire. Pian piano i cancellieri tornano in tribunale ma, denunciano i civilisti, con troppa lentezza. Le camere civili hanno scelto un hashtag: #Giustiziainaula. Perché molto, ma non tutto si può fare dal salotto di casa.