Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Zaia sfida gli scienziati: «Ci dicano cosa fare»
Mascherina in aula? La pediatra: «Se sono garantite distanza, pulizia e aerazione dei locali, si può evitare» Il Comitato tecnico scientifico dovrà esprimersi sul nuovo piano di salute pubblica
VENEZIA Forze e tempo persi nella guerra tra scienziati che si consuma da mesi sul coronavirus, paradossalmente ormai relegato a fare da sfondo ai duelli quotidiani su chi ne sa e ne inventa di più. Situazione surreale che irrita ancora una volta il governatore Luca Zaia, già lo scorso 9 maggio sotto i riflettori per aver tirato le orecchie alla categoria, al tempo colpevole di frenare le riaperture delle ultime attività ancora in lockdown. «Ho i miei dubbi che gli scienziati abbiano sempre ragione » , aveva detto Zaia. Oggi invece infastidito dall’evidenza che mentre chi sa, o dovrebbe sapere, si prende per i capelli in tv e sui giornali, chi amministra è costretto ad assumersi gravi responsabilità in un ambito che non gli è proprio. E senza il conforto dei «cervelli».
«A noi amministratori non spetta dare spiegazioni scientifiche — conferma il presidente del Veneto — non siamo titolati a farlo, dobbiamo ascoltare il mondo della scienza e poi decidere. Se però il mondo della scienza non è d’accordo su nulla, non posarrivederci siamo tirare la monetina per aria. In questo istante c’è chi dice che il virus è spompato e chi sostiene che è più forte di prima, chi afferma che l’asintomatico è pieno di carica virale e chi assicura che ne ha poca, chi indica in 14 giorni il periodo di incubazione del Covid-19 e chi in 30. È legittimo che gli esperti formulino interpretazioni diverse, ma mettetevi nei panni di un’amministrazione chiamata a redigere un piano di sanità pubblica. E che si chiede: quanto devo far durare l’isolamento fiduciario dei soggetti contagiati: 14 o 30 giorni? — aggiunge — Capite le ricadute lavorative, sociali, scolastiche. La ricaduta delle non informazioni è il vero problema». Insomma, gli esperti si avviluppano nel loro mondo, dimenticandosi di quello «vero». «Lancio una sfida al mondo scientifico — insiste Zaia — quando dichiara qualcosa, ci dica anche cosa bisogna fare e lo firmi. Ora non lo fa ed è difficile lavorare così, anche perché in mezzo ci sono i giudici. Mi preoccupa che il catastrofismo fa audience, se non mi si indicano misure da applicare, non me ne faccio nulla di tutte queste versioni. Siamo in grossa difficoltà. Inutile che lancino il sasso e dicano che a settembre il virus ritorna e che ci saranno nuovi contagiati, dopodiché grazie e in autunno. Sono bravi tutti a lanciarsi col paracadute, comincino a dire ciò che bisogna fare per evitare la recrudescenza».
Chiaro poi il riferimento a chi sta sempre sul palcoscenico mentre coloro che lavorano in sordina sono pure mazziati (leggi l’accusa lanciata dal professor Andrea Crisanti, «papà» dei tamponi, a Francesca Russo, a capo della Direzione regionale Prevenzione: «Il suo piano di sanità pubblica era una baggianata»). «Abbiamo dei nascenti premi Nobel e degli sfigatissimi che farebbero programmazione sbagliata — denuncia il governatore — a seconda che le cose vadano bene o male. Comodo. E allora il nuovo piano di sanità pubblica lo presenterò ai veneti e poi lo sottoporrò all’attenzione del Comitato tecnico scientifico, chiedendo un parere scritto e firmato a tutti i componenti, con le osservazioni a fianco. Così si saprà cosa ha scritto la Regione e cosa hanno osservato gli altri». E già che c’è, Zaia inserisce nell’elenco delle sfide la difficile scelta in tema di mascherina o meno in classe: «Mi piacereb
be sentire l’opinione degli scienziati in merito, visto che nessuno si esprime, perché schierarsi è difficile. Come lo è stato il 3 febbraio scorso, di fronte alla mia decisione di disporre la quarantena per le persone provenienti dalle zone infette della Cina, cinesi e non. Io non ho visto tutta ‘sta gente esperta dirci altro se non che eravamo razzisti».
Una prima indicazione sulla mascherina a scuola arriva da una degli specialisti che lavorano in prima linea senza la ribalta delle tv, la professoressa Liviana Da D’Alt, direttore del Dipartimento della salute della Donna e del Bambino interno all’Azienda ospedaliera di Padova: «I bambini sopra i 6 anni devono avere con sè la mascherina, imparare a usarla e capirne l’importanza, per indossarla nei momenti di assembramento, quando non è possibile rispettare la distanza sociale. Se però a scuola sono garantite altre misure di contenimento del virus, come il distanziamento anche tra banchi, la costante aerazione e pulizia dei locali e c’è il patto con le famiglie di tenere a casa i bambini al primo sintomo sospetto, è ragionevole stare in aula senza mascherina. Questo alle elementari e alle medie — chiude Da D’Alt — mentre alle superiori bisogna pensare a un uso più frequente, perché gli adolescenti hanno una vita sociale più intensa».