Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Porto, tentativo di salvataggio Il ministero chiama la Vigilanza
Musolino pubblica i documenti: ho servito il Paese. L’accordo «nascosto» on line
VENEZIA Prima di commissariare il Porto di Venezia il ministero alle Infrastrutture vuole vederci chiaro. Ieri il capo di gabinetto di Paola De Micheli ha scritto alla Direzione generale di vigilanza sulle autorità portuali chiedendo di capire se il rendiconto 2019 non approvato nel Comitato di gestione del 18 giugno rientra tra le fattispecie definite dall’articolo 7 della legge sui Porti che di fatto prevede lo scioglimento del Comitato e la nomina del commissario. In sostanza il ministero chiede alla Direzione (che ha già aperto una ispezione sulle contestazioni fatte dai due componenti nominati da Renulla gione e Città metropolitana) se il rendiconto può essere considerato bilancio, quasi un ultimo tentativo per evitare il commissariamento che altrimenti diventerebbe inevitabile. L’unica cosa certa è che il ministro deve arrivare a Venezia venerdì 10 luglio per il test di sollevamento del Mose alle tre bocche di porto con il «caso Musolino» risolto.
Nel frattempo il presidente dell’Autorità portuale continua in quella che ha chiamato «operazione trasparenza» inviando le informative mandate l’anno scorso al presidente del Veneto Luca Zaia e al sindaco della Città metropolitana Luigi Brugnaro («Io non ho
da nascondere, ho servito il mio Paese tutelando interesse pubblico e rimediando gli errori degli altri») e twittando i verbali delle riunioni del Comitato di gestione sull’accordo del terminal di Fusina, diventato la discriminante nella mancata approvazione del bilancio. Pino Musolino continua a ribadire l’assoluta correttezza della procedura seguita («Ho firmato io come prevede la legge»), ma di fatto non risponde alle sottolineature che hanno sempre fatto i due rappresenti del comitato di gestione Fabrizio Giri (Città metropolitana) e Maria Rosaria Campitelli (Regione) al presidente. E cioè la mancata comunicazione dell’accordo preliminare su Fusina che prevedeva la revisione del project financing con lo stanziamento di nove milioni di euro (due subito) alla Ro Port Mos — la società che ha costruito e gestisce il terminal delle autostrade del mare — se non a cose già fatte. «Non siamo mai stati informati di quanto effettuato prima che lo scoprissimo personalmente», hanno più volte ribadito Giri e Campitelli. (Anche la pubblicazione on line dell’intesa si è scoperto essere stata fatta un anno dopo per un errore, così ha spiegato Pino Musolino, della società informatica a cui è stato affidato l’adempimento). Il perfezionamento dell’accordo di revisione del Pef fu concluso con il voto favorevole a maggioranza (Musolino e l’ammiraglio della Capitaneria, Giri votò contro, Campitelli non partecipò). «Il voto contrario al rendiconto espresso nella seduta del 18 giugno 2020 non può comportare in alcun modo la revisione dell’atto di riordino del piano di fusina, poiché si determinerebbe un debito fuori bilancio e quindi un illecito — attacca il presidente dell’Autorità portuale di Venezia e Chioggia — Ciò che provoca invece è il rischio di paralizzare la disponibilità di finanziamento di opere e attività necessarie allo sviluppo dei nostri scali». Nel luglio 2019 i due «ribelli» chiesero, senza successo che i sette milioni rimanenti per Fusina fossero stralciati dal conto del bilancio al fine di confluire nell’avanzo di amministrazione vincolato 2019, per poi essere eventualmente utilizzati solo a fronte dell’effettiva modifica del Pef.