Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

La lettera di Mattarella alla mamma scrittrice

- Antonella Gasparini

MESTRE «La ringrazio per il suo libro, il dolore che esprime è pienamente coinvolgen­te». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scritto una lettera alla giornalist­a mestrina, Liliana Boranga, che al capo dello Stato aveva inviato copia del suo ultimo libro: «Io, tua madre contro la bestia». «Ero sicura che Mattarella avrebbe capito», dice Liliana. Sulla sua pagina Facebook la foto del biglietto con la calligrafi­a del presidente. «Sono le cose che ti fanno andare avanti». È gennaio, piena emergenza Covid. Sua figlia Francesca poco più che quarantenn­e, affetta da schizofren­ia, si ammala di polmonite. Viene ricoverata a Mestre, poi in una clinica di Preganziol. Liliana non la riabbracci­a più, fino a 15 giorni fa. Al calvario quotidiano si aggiungono i problemi della pandemia. Quando a marzo Francesca sta meglio, per lei non si trova posto in nessuna comunità per garantirle l’assistenza di cui ha bisogno. Qualche istituto non c’è più, in altri sono pieni di contagiati. Liliana soffre, combatte, insiste, e scrive il libro. Certo, non potrà andare in pizzeria, non rivedrà gli amici per colpa del coronaviru­s, dovrà indossare la mascherina. La figlia Francesca, donna di un metro e 75 comincia a rifiutare il cibo. Arriva a pesare 40 chili. Sua madre non va più da lei, non sta più insieme a lei nella sua camera, ma va a trovarla per poco tempo, al di là del cancello. «Qualche volta tra genitori ci definiamo purosangue, ma vorremmo spesso e volentieri essere ronzini o asini. Non lottiamo per qualche stanza in più, ci serve qualcuno che capisca. Comprensio­ne non compassion­e. Ci serve una società che faccia un salto in avanti. La nostra è una battaglia di civiltà. Mattarella è una persona che ha sofferto. Può capire e dare dei messaggi che trasforman­o il modo di sentire. Il Covid è servito.Ho capito, durante la pandemia, cosa le persone stavano passando e ho sofferto. Nel mio caso vuol dire sapere che non finirà mai. Provando dolore, proviamo un sentimento. E se questo sentimento si diffonde, la società è pronta a capire».

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