Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
In Veneto l’indice più alto «Guariti non più immuni»
L’Rt scende da 1,6 a 1,2 ma il Veneto resta la regione peggiore con l’Emilia. Venti i focolai ancora attivi
VENEZIA Scende da 1,63 a 1,2 l’indice di contagio da Covid19 nel Veneto, ma resta il più alto d’Italia. Intanto lo studio del professor Giuseppe Lippi, a Verona rivela che alcuni guariti hanno perso l’immunità dopo tre mesi.
VENEZIA Scende da 1,63 a 1,2 per 100mila abitanti l’indice di contagio (Rt) da Covid-19 nel Veneto, che però rimane il parametro più alto d’Italia, condiviso con l’Emilia Romagna. Perfino in Lombardia il dato è sceso allo 0,92. E solo cinque regioni sono sopra l’1: oltre a Veneto ed Emilia, Lazio (1,07), Toscana ( 1,12) e Piemonte (1,06). Lo rivela l’ultimo monitoraggio della «Fase 2» condotto tra il 29 giugno e il 5 luglio dal ministero della Salute e dall’Istituto superiore di Sanità, che sottolineano: «Molti dei casi notificati hanno contratto l’infezione 2-3 settimane prima, ovvero prevalentemente nella terza fase di riapertura, tra l’8 e il 20 giugno. Oltre ai focolai attribuibili alla reimportazione dell’infezione, vengono segnalate alcune piccole catene di trasmissione di cui rimane ignota l’origine. Ciò evidenzia come ancora l’epidemia di Covid-19 in Italia non sia conclusa. Si conferma perciò una situazione epidemiologica estremamente fluida».
Nel Veneto la «classificazione di rischio per aumento di trasmissione ed impatto di Covid-19 sui servizi assistenziali» è definita «moderata». «Casi complessivamente in aumento, sia nel flusso coordinato dal ministero della Salute che in quello coordinato dall’Iss — si legge nel dossier —. Rt maggiore di 1, sono segnalati 20 focolai attivi (in diminuzione, rispetto ai 24 delro-universitaria la scorsa settimana, ndr) di cui due nuovi nella settimana di monitoraggio in corso. Non sono segnalati casi non associati a catene di contagio note. Non si rilevano segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali ospedalieri monitorati». Il problema adesso sono i lavoratori stagionali e le badanti che entrano ed escono dai loro Paesi d’origine e sono migliaia. Anche ieri il bollettino diffuso dalla Regione ha segnalato nuovi casi, 12, legati quasi tutti a stranieri, tra cui: un camerunense, due bambini di 5 e 8 anni kosovari appartenenti al cluster di Treviso insieme a una 62enne e a un 57enne sempre del Kosovo. E poi ci sono due italiane di 47 e 60 anni. In tutto, dal 21 febbraio, i soggetti positivi al coronavirus sono 19.376, di cui 1224 in isolamento domiciliare, voce in ascesa. I decessi restano 2039.
«Sebbene per ora l’Rt a livello nazionale rimanga di poco al di sotto di 1, in diverse regioni ha superato quota 1 — analizza Gianni Rezza, direttore generale del Dipartimento di Prevenzione al ministero della Salute —. Situazione dovuta in diversi casi al verificarsi di focolai di rilevanza più o meno grande, in parte legati all’importazione di infezioni dall’estero. Ciò induce a potenziare le misure di distanziamento sociale, anche se il Sistema sanitario nazionale è in grado di identificare rapidamente questi focolai e contenerli».
«E’ molto difficile controllare le persone in arrivo dall’estero — commenta il professor Giuseppe Lippi, professore ordinario di Biochimica clinica all’Università di Verona e coordinatore di un progetto sulla ricerca dell’immunità da Covid-19 — anche cancellando i voli dai Paesi extra Schengen, perché fanno scalo altrove. Ormai il 99% dei nuovi casi riguarda persone giunte da altri Paesi e il fatto che siano in prevalenza asintomatiche non significa che non trasmettano il virus». Non può stare tranquillo nemmeno chi ha il coronavirus l’ha già avuto. «Noi abbiamo analizzato, con prelievo di sangue tradizionale e tampone, 5300 operatori sanitari dell’Azienda ospedalie
"Rezza E’ dovuto a focolai più o meno grandi, in parte legati all’importaz ione di infezioni dall’estero
di Verona e solo tra il 4% e il 5% ha sviluppato gli anticorpi al Covid-19 — rivela Lippi —. Il problema è che non sappiamo ancora se siano protettivi e quanto questa immunità duri. La prima fase dello studio, a cui partecipano anche il professor Stefano Porru, di Medicina del Lavoro, e la dottoressa Giuliana Lo Cascio, responsabile della Microbiologia, si conclude lunedì con il secondo prelievo e nel frattempo qualcuno dei soggetti testati è diventato positivo. Abbiamo visto infatti che alcuni perdono l’immunità dopo tre mesi: si tratta di asintomatici, con bassa carica virale, ma è comunque un aspetto decisivo da approfondire nel prossimo anno e mezzo».
Dopo il secondo prelievo, che ha già visto scendere i soggetti testati a 4700, ci sarà il terzo a distanza di due mesi e il quarto dopo altri sei.
Sempre a Verona la polizia locale ha scoperto un 27enne in teoria nullatenente, tanto da aver percepito il reddito per Covid- 19, che in realtà vanta 315 veicoli intestati a suo nome.
"Lippi Alcuni operatori sanitari hanno perso l’immunità dopo 3 nesi e ora sono positivi