Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Cattolica e il no della Curia alla Spa. «Più trasparenza» «Azienda etica»
Il docente: «Più tutele per i soci». Il manager: «Tema serio, no al de profundis dell’azienda etica»
VERONA «Ora i principi della solidarietà e della cooperazione rischiano di essere soffocati dal profitto. E la Dottrina sociale della chiesa viene compromessa». Così monsignor Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, ha dichiarato sul settimanale diocesano Verona Fedele a proposito del percorso avviato da Cattolica Assicurazioni, nell’intraprendere la via che appare irrevocabile della trasformazione in Società per azioni (Spa), con il voto dell’assemblea del prossimo 31 luglio. Quella della Curia veronese è una forte presa di posizione e un richiamo etico ai valori della Dottrina sociale della Chiesa che si scontrano con due elementi che sono drasticamente cambiati rispetto all’epoca in cui la compagnia assicurativa fu fondata. Il primo «è la dimensione del capitale», il secondo «è il contesto sociale veneto» (se non nordestino, o italiano), nel grande e finora incontrastabile flusso della globalizzazione.
A pensarla così, almeno, sono due osservatori di lungo corso delle dinamiche socioeconomiche regionali: Fabio Buttignon, docente di finanza aziendale all’università di Padova, e Maurizio Castro, manager di multinazionali come Electrolux ed ex direttore generale dell’Inail.
«Un vescovo normalmente si deve occupare di tante cose – è la premessa di Buttignon – ma i ragionamenti tecnici di natura finanziaria sono complessi e vanno letti con competenze specifiche. Detto questo - continua il docente padovano -, esperienze recenti nella nostra regione ci hanno dimostrato un fatto: quando strutture di natura cooperativa crescono in dimensione e in complessità ( è il caso, per esempio, anche delle ex banche popolari venete, la cui parabola si è miseramente conclusa, ndr) spesso creano spazi per ambiti di opacità in cui si annidano distorsioni pericolose. Un esempio per tutti: se la riforma delle Banche di credito cooperativo fosse intervenuta prima, molti dei problemi che abbiamo osservato in questo ambiente in Veneto si sarebbero potuti evitare». Lo schema della cooperazione, in altri termini, funziona e ha funzionato per moltissimo tempo all’interno di perimetri limitati. Se i capitali in gioco diventano più grandi - e crescere è spesso una necessità, per la sopravvivenza stessa delle aziende - «la forma societaria per azioni rimane la più trasparente e opportuna – conclude Buttignon – proprio per gli strumenti di maggiore tutela nei confronti dei soci».
Maurizio Castro, da parte sua, aggiunge un’analisi storica che finisce con il raccordarsi, pur con dei significativi distinguo, alle posizioni di Buttignon. «Il problema che pone la trasformazione di Cattolica in Spa è serio perché, come per le banche popolari, il percorso della compagnia ha seguito una tradizione tipicamente nordestina e per molti versi legata a una precisa esperienza di cattolicesimo sociale di fine Ottocento. Cioè un’idea forte – aggiunge Castro – di capitalismo comunitario, il quale oggi, per come la vedo io, è stato più rovinato dai diversi casi di cattive gestioni che superato dal modello di maggiore efficienza delle società per azioni. Siamo dunque in presenza di un impianto cooperativistico diventato degradabile perché si è indebolita la piattaforma etica sulla quale si reggeva».
Ma, è la domanda provocatoria che pone Castro, «siamo così sicuri che, nel post-Covid, dunque alla chiusura di una fase storico-economica, non ci sia il bisogno di tornare all’azienda etica e partecipata? Prima di celebrare il de profundis per questi modelli – chiude il manager - io starei attento».
Buttignon Quando le strutture cooperative crescono di dimensione spesso si creano spazi di opacità
Castro
In epoca post-Covid potrebbe esserci il bisogno di tornare a un modello di azienda partecipata