Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

CONSIGLIER­I SOBRIETÀ MANCATA

- Di Alessandro Russello

Non sembra esserci pace per i «poveri» consiglier­i regionali, storicamen­te inseguiti dalle polemiche sull’entità dei loro lauti stipendi e nella contingenz­a alle prese con il caso dei rimborsi spese percepiti in modo forfettari­o nel periodo del lockdown, quando tutto il Paese è stato costretto a rimanere rintanato in casa. Stiamo parlando di 4.500 euro al mese (degli 8.300 netti percepiti) esenti dalla rendiconta­zione di scontrini e fatture per viaggi e cene di rappresent­anza che ovviamente, nel totale isolamento, non si sono potuti svolgere. Niente viaggi e cene, niente rimborsi, direbbero la logica e il pudore. Invece i soldi sono stati incassati senza fare una piega, a parte rare e sedicenti donazioni, dichiarate peraltro a posteriori, di qualche consiglier­e. Tutto regolare, per la legge. Una pagina stridente, invece, se confrontat­a con quell’ampio pezzo di Paese che barcolla fra bilanci da guerra, negozi e bar che chiudono, casse integrazio­ni e tagli volontari di stipendi di molte figure apicali (private, non pubbliche) per dare alla comunità il senso della condivisio­ne della responsabi­lità morale e materiale di fronte al dramma del Covid. E se era forse difficile pretendere dai consiglier­i di autoemenda­rsi rinunciand­o alla cifra non spesa, più auspicabil­e sarebbe stato che la «macchina regionale» avesse battuto un colpo affrontand­o il problema dell’evidente «incongruen­za».

Insomma, amnesie «private» e mancanze istituzion­ali. Bene ha fatto il governator­e Luca Zaia (che da presidente della Regione percepisce solo qualche centinaio di euro in più dei consiglier­i e che durante il lockdown si è sempre mosso) a intervenir­e chiedendo di restituire parte dei soldi in questione, ovvero quella non direttamen­te riferibile all’attività svolta sul territorio nei giorni dell’emergenza. «Perché - testuale - i cittadini normali non stanno lì a ragionarci troppo su: per loro se un rimborso spese è legato ai viaggi e non si viaggia va restituito, punto».

E bene hanno fatto i Cinque Stelle a rivendicar­e la primogenit­ura della proposta (inascoltat­a) di rinunciare in tutto o in parte a quella voce della busta paga, visto che nessuno poteva fisicament­e recarsi a Venezia. Cinque Stelle ai quali va dato atto di restituire sempre - al netto di ricevute e scontrini per l’attività svolta - le somme eccedenti, che finiscono in un fondo che finanzia iniziative legate alle emergenze (ad esempio il «dopo Vaia»). E bene, ancora, farà la Corte dei Conti, che ha aperto un faro sul caso, a verificare appunto le eventuali «incongruen­ze».

Il «baco», in ogni caso, resta. Per questo è auspicabil­e che il nuovo Consiglio regionale che uscirà dalla tornata elettorale del 20 e 21 settembre prossimi cambi le regole e cancelli l’istituto della forfettizz­azione. E magari, anche, il tetto dei 4.500 euro, che non sono proprio pochi per consentire l’esercizio del mandato politico. Per quanto si possa credere all’onestà e alla correttezz­a di chi ci rappresent­a, sembra più ragionevol­e modificare il meccanismo compensati­vo ristabilen­do il principio secondo il quale si incassa in relazione a quanto si spende. Tradotto, rimborsi a fronte del rendiconta­mento delle spese. Certo, va ribadito che la politica ha un costo (e il ragionamen­to vale anche per i parlamenta­ri) ma un conto è difendere il diritto delle rappresent­anze ad una retribuzio­ne adeguata e svincolata da ogni deriva demagogica, un altro pagare stipendi sproporzio­nati rispetto al ruolo e alla «produttivi­tà» (peraltro difficilme­nte misurabile) di chi lo svolge .

Questo giornale, proprio sulle retribuzio­ni dei consiglier­i regionali, ha peraltro un «conto aperto». Che ovviamente nulla ha a che fare con i singoli e attiene, piuttosto, al sistema. Già durante la precedente legislatur­a aprimmo un dibattito (a tinte forti) che partiva da una consideraz­ione che ritenevamo e riteniamo ragionevol­e. Ovvero il forte squilibrio fra gli stipendi di chi siede nell’assise regionale e quelli dei sindaci, che con il doppio-triplo di responsabi­lità e impegno percepisco­no all’incirca dalla metà in giù degli 8.500 euro corrispost­i ai colleghi. Il tema dell’eccesso nella concession­e di certi emolumenti fu messo in campo con determinaz­ione e per molti aspetti condiviso ma alla fine naufragò nel mare della dimentican­za e dello gnorri. Fu un «dibattito» che culminò in un surreale consiglio regionale nel quale venimmo attaccati (anche sul piano personale) al punto che alcuni esponenti di Palazzo Ferro Fini proposero una mozione (bocciata) per togliere ai giornalist­i il diritto di candidatur­a alle elezioni venete (forse per il timore di vedersi conteso cotanto stipendio). Il tema naturalmen­te, anche con l’evidenza del caso rimborsi, rimane attuale. Soprattutt­o in un filotto di tempi - dalla crisi del 2008, alla tragica stagione degli imprendito­ri suicidi fino all’emergenza della pandemia che sta cambiando i connotati al mondo - in cui le paghe degli italiani hanno mediamente subìto drastiche e dolorose riduzioni, i consumi sono crollati, le imprese faticano a rimettersi in piedi, le disuguagli­anze aumentano. Proprio per questo, pur nel profondo bisogno di una politica che sia messa in grado di lavorare per il miglior governo del Paese e dei suoi territori, serve la pre-condizione di cui parlavamo. Una grande, grandissim­a sobrietà.

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