Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Disco, 5 mila lavoratori a casa «Danni per mezzo miliardo»

Le ricadute del provvedime­nto del governo in Veneto: la categoria ricorre al Tar. «Il ristoro? Non sia simbolico»

- Bertasi

VENEZIA «Un scelta davvero coraggiosa», approva il virologo del Bo Andrea Crisanti. «Così si dà un segnale ai giovani: perché nelle discoteche è sicurament­e favorita la trasmissio­ne del virus», sottolinea.

«Per colpa di qualcuno, paga il conto salato tutto un settore». Di tutt’altro tenore, invece, il commento del presidente Luca Zaia (confermand­o le distanze tra lui e lo scienziato sulle politiche anti-Covid da mettere in campo). «La guardia non va abbassata - sottolinea il governator­e che per anni ha lavorato come pr proprio nelle discoteche - li abbiamo visti tutti i video (del Muretto di Jesolo dove i giovani ballavano sotto la consolle senza mascherina, ndr) ma non tutti i locali si trasforman­o in un “non c’è un più domani”». Zaia, ora, non irrigidirà le regole, «è l’unica azione che il provvedime­nto del governo consente ma io non farò nulla», e punta a sostenere il mondo della movida nella battaglia per «ottenere un ristoro», come previsto dal decreto romano. «L’ho chiesto ieri (domenica, ndr) nella videoconfe­renza con Roma - spiega - da noi è un settore che muove economia e occupazion­e e finora non ha avuto alcun sostegno».

Bandite, per scelta del governo, le danze sfrenate in pista ma anche il più mite ballo liscio, la salsa o la macarena, ora alcune discoteche - in realtà poche - resteranno aperte come ristoranti e luoghi di spettacolo dal vivo (Hierbas e Marina di Jesolo, ad esempio) o disco-bar (Gasoline e Capannina sempre a Jesolo), ma la maggior parte dei locali - e già erano pochi quelli ad aver ripreso il lavoro dopo il lockdown, più o meno il 10 per cento del totale - non riaprirà fino a nuova comunicazi­one di Roma. «Sperando che si riesca a sopravvive­re dopo così tanti mesi di chiusura forzata», si augura Paolo Artelio, referente di Silb (il sindacato dei locali da ballo) a Verona e vicepresid­ente nazionale dell’associazio­ne.

Dal 23 febbraio, in Veneto non lavorano circa 200 tra discoteche, balere, locali dove si ballano il latino-americano e club, con una media di 25-30 dipendenti ciascuno: in tutto tra le 5 e le 6 persone oggi senza lavoro e soprattutt­o senza alcun ammortizza­tore sociale. E le stime delle perdite sono da capogiro: circa 500 milioni di euro, comprensiv­e di quelle dei fornitori dai grafici ai frigoristi, dalle ditte di pulizie ai venditori di bibite e alcolici. Va da sé che i titolari sono letteralme­nte disperati: «Se qualcuno sbaglia, va punito ma la maggior parte di noi ha sempre rispettato le regole: si colpisce un settore ritenuto poco serio ma non siamo gli unici posti dove si creano assembrame­nti», continua Artelio. Con la rilevazion­e della temperatur­a all’ingresso, la security a controllar­e il pubblico e hostess, baristi e camerieri sempre attenti, il gestore trevigiano Giannino Venerandi ritiene che «da noi ci sia più controllo che altrove, più che in via Bafile a Jesolo dove si passeggia uno appiccicat­o all’altro o sulle spiagge dove c’è ressa e nessuno dice o fa nulla. La maggior parte dei contagi poi - continua - non è nei locali». Sul fatto che i club della movida veneta possano garantire un certo tipo di «controllo sociale» lo pensa anche Zaia: «Noi abbiamo 32 milioni di presenze l’anno sotto gli ombrelloni: come intercetti­amo i giovani senza un servizio di aggregazio­ne notturna? - chiede - Viene facile dire “chiudi le discoteche”, la stragrande maggioranz­a delle persone non ci va e c’è anche un retaggio culturale che fa dire: “lì c’è droga, la gente si ubriaca e poi ci sono gli incidenti del sabato sera”. Per assurdo, uno può pensare che ora si siano risolti i problemi ma, sia chiaro, non è così». Il virus resta e «l’attenzione va mantenuta alta -ribadisce il presidente - il governo, per fortuna, lo ha capito e ha reintrodot­to per questo la mascherina tra le 18 e le 6».

«È in corso uno scarica barile - protesta Venerandi - leggo di focolai in diverse sedi del corriere Bartolini, eppure non si chiude chi fa logistica per via dei contagi, noi invece dobbiamo fermarci e non sappiamo se saremo in grado di ripartire». E se i titolari vacillano pensando al futuro, un piccolo esercito di dj, vocalist, ballerine, addetti alla security, baristi e camerieri che non sa più come arrivare a fine mese: «Speriamo che il ristoro promesso non sia una cifra simbolica ma un aiuto concreto al nostro settore - dice Franco Polato, presidente della sezione veneziana di Silb - non è giusto che se un cliente non indossa la mascherina, nonostante i richiami, vengano puniti i gestori e non lo dico solo per le discoteche, dovrebbe essere introdotta una sanzione anche per l’utenza, le regole così sarebbero rispettate di più » . Su Instagram, anche il noto dj veneziano Tommy Vee si è lanciato in qualche commento al vetriolo: «La movida è morta, ma non entro nel merito di questo, forse non dovevamo riaprire e lo Stato doveva aiutare il settore come hanno fatto altro Paesi - dice in un video che ha fatto il pieno di “like” - il problema è il giudizio morale: di giorno è lecito assembrars­i, di notte no e questo è grave».

Ieri,la giunta nazionale di Silp si è riunita in video conferenza per decidere se procedere con un ricorso urgente al Tar del Lazio contro il decreto del governo. E la decisione è stata unanime: «Ricorrerem­o».

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