Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
IL NOSTRO AUTUNNO FRAGILE
Nel nostro Paese, e il Veneto non fa eccezione, la concatenazione di eventi più o meno turbolenti collegati a manovre economiche, mobilitazioni sindacali e proteste sociali che ha spesso caratterizzato i mesi di settembre e ottobre è ricondotta sotto l’espressione-ombrello di «Autunno caldo».
Coniata dal leader socialista Francesco De Martino nel 1969, per sintetizzare la tensione tra «Capitale e Lavoro» generata da lotte e agitazioni di massa che in quell’anno portarono in piazza milioni di «tute blu» che rivendicavano legittimamente più diritti nel luogo di lavoro (oltre a movimenti studenteschi e femministi che chiedevano legittimamente più diritti civili), l’espressione ha completato la sua parabola il 14 ottobre 1980 con la «Marcia dei Quarantamila» di Torino (rievocata in questi giorni con la scomparsa di Cesare Romiti).
Ovvero quando migliaia di «colletti bianchi», impiegati e quadri della FIAT, sfilarono per Torino rivendicando legittimamente il diritto di lavorare a loro negato dai picchettaggi delle «tute blu». I successivi episodi di «Autunno caldo» sono stati sempre meno riferibili alla dialettica tra «Capitale e Lavoro» e sempre più attinenti ad altre tensioni economiche e sociali.
L’«Autunno caldo» è tornato nel lessico politico ed economico che discute cosa potrebbe succedere al rientro dalla pausa estiva, stante l’impossibilità di contenere con certezza la diffusione del contagio da Covid19. Per il 2020, però, l’espressione non è calzante. È più evocativo parlare di «Autunno fragile». Sono fragili le famiglie, soprattutto quelle degli oltre 5 milioni di bimbi e bimbe (circa 400mila in Veneto) che a settembre riempiranno scuole dell’infanzia e primarie. Sembra (il condizionale è d’obbligo) che con una sola persona positiva in classe scatterà la quarantena anche per compagni e docenti con cui hanno avuto contatti nelle 48 ore precedenti. Per i loro genitori, il rientro a scuola avvierà un anno «a singhiozzo», con due conseguenze. Da un lato, dovranno affiancare figli e figlie nella didattica a distanza, senza che nessuno in questi mesi si sia preoccupato di addestrarli a svolgere questo compito delicato e impegnativo (cfr. Stefano Allievi su queste colonne, 19 agosto 2020). Dall’altro, dovranno assentarsi dal lavoro per cause a loro non imputabili, con il rischio che a farne le spese continuino ad essere soprattutto le giovani mamme, senza che nessuno abbia pensato di privilegiare questi genitori per l’accesso allo smartworking e di supportarli per adattare gli spazi di vita quotidiana al lavoro da remoto.
L’assenza di politiche ad hoc per questo segmento di popolazione, che spesso è nella fase centrale e più produttiva del ciclo di vita professionale, è lo specchio della visione corta sia del governo centrale, che non ha stanziato risorse dedicate, sia delle amministrazioni locali, che hanno perso l’occasione per realizzare politiche innovative per le giovani famiglie bilanciando servizi abilitanti (investimenti a fini sociali) e sussidi economici (spesa corrente a fini sociali). Sono fragili le imprese. Confartigianato Veneto ha sondato quelle più piccole, rilevando la paralisi degli investimenti e la focalizzazione sulla sopravvivenza di brevissimo termine (cfr. Corriere del Veneto, 19 agosto 2020). In generale, soffriranno quei comparti che non hanno alternative alla presenza fisica delle maestranze nel luogo di lavoro per molte attività. Una parte di queste imprese potrebbe non reggere l’urto né di un improvviso lockdown generalizzato o parziale (come quello delle discoteche, per intendersi) né delle assenze non programmabili e (più che) giustificate delle persone con prole a rischio quarantena.
Su questo terreno misureremo la statura delle Parti Sociali: spetta a voi l’onere di avere una visione lunga e adatta alla gravità del momento, come quella che ebbero i vostri omologhi quando il 23 luglio 1993 firmarono il “Patto per la politica dei redditi e lo sviluppo”, che cambiò in meglio il destino del Paese.