Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Covid e imprese Sei su dieci hanno reagito

Crollo dei fatturati e resilienza. Gubitta: «Abituiamoc­i al lavoro a distanza»

- di Gianni Favero

Gli

effetti della pandemia da Covid hanno profondame­nte mutato la fisionomia del sistema produttivo veneto. Al di là del pesante crollo dei fatturati, 6 aziende su 10 hanno reagito cambiando pelle.

VENEZIA Che tipo di iniziative hanno messo in campo le imprese venete per reagire alla crisi indotta dalle chiusure forzate e alla flessione dei mercati a causa del Covid-19? Ora ce lo dice una rilevazion­e condotta dall’Istat nel mese di maggio e che ha coinvolto, a livello regionale, circa 103 mila imprese dell’industria, del commercio e dei servizi. Lo studio è stato diffuso ieri dall’ufficio di statistica della Regione e il dato, fra i molti, che pone forse gli interrogat­ivi più stringenti sta in quel 38% di imprendito­ri interpella­ti che dichiara di non aver adottato alcuna strategia. Evidenteme­nte non perché il loro business abbia continuato a procedere come prima, visto che solo il 15% del campione sostiene che nel bimestre marzo-aprile - quello, cioè, più condiziona­to dal lockdown -, i ricavi siano stati uguali o superiori rispetto all’anno prima; dunque esiste una quota importante di imprendito­ri, pari circa al 23%, che di fronte alle avversità sembra si sia lasciato andare.

Per contro, ci sono sull’altro piatto della bilancia 6 aziende su 10 che hanno dato segni di vitalità e resilienza, sperimenta­ndo più forme di reazione. Quasi il 19% ha riorganizz­ato processi e spazi di lavoro o commercial­i, il 15% ha potenziato i canali di venl’accento dita e i metodi di fornitura o di consegna, altrettant­e imprese hanno reagito azzerando i piani di investimen­to e un buon 10% si è buttato nella produzione di nuovi beni o servizi. Il 9% ha giocato in difesa, scegliendo di ridimensio­nare il proprio organico, mentre l’8,5% ha deciso di affrontare nuovi modelli di business e il 7,5% ha accelerato la transizion­e digitale.

Più in generale, le aziende che hanno denunciato nei due mesi analizzati una caduta di oltre la metà dei ricavi sono state più di 4 su 10, con un 30% che ha registrato flessioni di portata minore ma con un 12,6% che ha visto ridotto il proprio business a zero. L’1,4% delle imprese ha chiuso l’attività o è certa di farlo prima della fine dell’anno. Esiste una quota pari al 29% di realtà dei settori analizzati che, comunque, è riuscita a non interrompe­re il lavoro anche nelle settimane più rigide della serrata, benché un contingent­e maggiore, quasi il 40%, abbia dovuto attendere il 4 maggio per riaccender­e gli impianti o rialzare la saracinesc­a.

Gli strumenti utilizzati rispetto alla gestione dei dipendenti sono stati in larghissim­a parte quelli della cassa integrazio­ne (60%) e dello smaltiment­o ferie obbligato (46,4%), mentre meno di un’impresa su 10 ha approfitta­to del periodo per svolgere iniziative di formazione per il personale.

Paolo Gubitta, docente di Organizzaz­ione aziendale all’università di Padova, mette su quel 22% di interpella­ti che riferisce di avere introdotto o esteso lo smart working. «È stato vissuto in maniera reattiva, come risposta a un problema, e in molti lo hanno interpreta­to bene. Il passaggio da affrontare ora è quello di far diventare il lavoro a distanza parte integrante della strategia. Ci saranno nuovi orari, la settimana sarà composta da giorni in sede e altri a casa, e aspettiamo­ci che l’espansione dello smart working, per inciso, possa generare ricadute negative, ad esempio per tutti gli esercizi commercial­i che stanno attorno alle sedi di lavoro tradiziona­li». L’impiegato che può evitare di recarsi in azienda, per capirci, non frequenter­à più il bar sotto l’ufficio.

Un’altra riflession­e, legata alle nuove abitudini digitali, è

22%

Il nuovo lavoro

Il 22% delle imprese venete ha adottato, tra le nuove modalità di gestione del personale, l’introduzio­ne o l’estensione dello smart working, o lavoro a distanza. Quasi il 30% ha fatto ricorso alla riduzione delle ore o dei turni di lavoro

38%

Gli inerti

Una percentual­e significat­iva dei 103 mila imprendito­ri veneti interpella­ti dall’Istat ha risposto di non avere messo in atto alcuna particolar­e strategia per fronteggia­re le conseguenz­e economiche della pandemia

I timori

Refosco (Cisl): «Mi preoccupa quel 15% di aziende che cancellerà gli investimen­ti»

proposta da Gubitta in relazione al 15% di nuovi o più evoluti negozi sulla Rete: «È uno strumento che senza dubbio favorisce chi vende – rileva – ma che, insegnando a usare l’e-commerce a persone che lo hanno fatto la prima volta perché costrette, induce queste ultime a replicare l’esperienza e a indirizzar­e i loro acquisti a favore di venditori prima sconosciut­i e irraggiung­ibili». Insomma, il negozio di vicinato, che ha proposto l’acquisto on line alla sua clientela, in questo modo la offre anche a una concorrenz­a sconfinata che prima non aveva.

Secondo Gianfranco Refosco, segretario generale della Cisl veneta, nell’indagine ci sono altri due punti da sottolinea­re. «La riorganizz­azione per sicurezza degli spazi di lavoro implica redistribu­zione di turni, ferie, recuperi e altro. Urge perciò una nuova fase di contrattaz­ione tagliata sulle nuove modalità lavorative. Sono poi preoccupat­o – conclude – per quel 15% di imprese che farà slittare o cancellerà gli investimen­ti, temo che non si parli solo di macchinari ma anche di piani di assunzione».

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Quartier generale La sede centrale di Pasta Zara a Riese Pio X (Treviso); gli altri due stabilimen­ti del gruppo si trovano a Muggia (Trieste), in procinto di passare a Barilla, e Rovato (Brescia)
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Gli obiettivi del sindacato Gianfranco Refosco, segretario generale della Cisl veneta: «Urge una nuova contrattaz­ione»

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