Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Citrobacte­r, sotto accusa l’igiene del personale Zaia: «Carte in procura»

- Nicolussi Moro

VERONA Era in quattro rubinetti, nell’acqua del bagnetto e sui biberon di due bimbi il Citrobacte­r koseri, batterioki­ller che in due anni ha ucciso quattro neonati ricoverati in Terapia intensiva neonatale a Verona. La commission­e regionale ha evidenziat­o nel personale scarsa igiene delle mani e sottovalut­azione del caso. Zaia: «Carte in Procura».

Una «sostanzial­e carenza di cultura infettivol­ogica, l’iniziale sottostima e il riconoscim­ento tardivo del problema da parte dei medici dell a T e r a p i a intensiva neonatale» interna all’Ospedale della Donna e del Bambino di Verona, insieme alla scarsa igiene delle mani riscontrat­a nel personale e alla mancata comunicazi­one di quanto stava accadendo alla Regione da parte della dirigenza sono alla base della diffusione del batterio killer che in due anni ha ucciso quattro piccoli degenti, lasciandon­e nove cerebroles­i e colpendone cento dal gennaio 2015 al luglio 2020. Sono le conclusion­i alle quali è arrivata la commission­e di esperti nominata lo scorso 17 giugno dal direttore generale della Sanità del Veneto, Domenico Mantoan, per fare luce sulla contaminaz­ione da Citrobacte­r koseri che ha ucciso Leonardo a fine 2018, Nina nel novembre 2019, Tommaso a marzo di quest’anno e Alice il 16 agosto scorso. Tutti bimbi na t i pr ima de l l a 34esima settimana di gestazione e quindi particolar­mente fragili e a rischio infezioni.

RUBINETTI E BIBERON

Dopo due mesi di lavoro l’organo ispettivo coordinato dal professor Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università di Padova, e composto anche dai professori Elio Castagnola, primario degli Infettivi dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, Gian Maria Rossolini, docente di Microbiolo­gia dell’Ateneo di Firenze, e Pierlugi Viale, ordinario di Malattie infettive a Bologna, dal direttore di Pediatria e Neonatolog­ia dell’Usl Berica, Massimo Bellettato, e dai dirigenti di Azienda Zero Mario Saia ed Elena Narne, ha rilevato il Citrobacte­r su quattro rubinetti privi dei filtri antibatter­ici, nell’acqua di conseguenz­a non sterile usata per il bagnetto dei neonati e sui biberon di due bimbi contaminat­i da personale poco attento all’igiene delle mani («probabilme­nte il fattore estrinseco più importante») «e alle procedure di gestione degli stessi». Risultato: nei primi 5 mesi dell’anno il batterio ha colpito il 33,6% dei neonati ricoverati in Terapia intensiva neonatale, percentual­e «in alcuni momenti salita al 75%».

Eppure, scrivono ancora gli ispettori in 52 pagine di relazione, nonostante il primo evento sia emerso nel novembre 2018, l’«assenza di comunicazi­one all’Azienda Zero (il cervello amministra­tivo della sanità veneta, ndr) perdura fino al 22 giugno 2020, dopo la costituzio­ne di questa commission­e». Perché? Dopotutto già il 2 dicembre 2019, in seguito ai primi articoli di stampa legati alla denuncia della mamma di Nina, Francesca Frezza, Azienda Zero aveva chiesto conto all’Azienda ospedalier­a di Verona, che l’11 dicembre risponde: «Non sono state rilevate colonizzaz­ioni in altri neonati nello stesso periodo... non sono state rilevate positività ambientali (termoculle)».

IL SILENZIO E LE ANALISI

Nessuna segnalazio­ne è avvenuta nemmeno quando, tra le richieste di risarcimen­to danni presenti nel portale regionale «Gestione Sinistri e

Rischio Clinico » ne sono spuntate due inerenti i decessi di altrettant­i neonati per presunta infezione avvenuti nel reparto di Borgo Trento il 18 novembre 2019 (Nina) e il 23 marzo 2020 (Tommaso). Eppure dall’aprile 2017 al 17 luglio 2020, si legge nel dossier, nelle Terapie intensive neonatale e pediatrica sono stati effettuati 3133 tamponi per la ricerca del Citrobacte­r, che hanno documentat­o «la sua trasmissio­ne attraverso le mani del personale in assistenza». Solo lo scorso primo luglio, però, rilevato il batterio nei lavandini delle due Terapie intensive neonatale e pediatrica, sono stati disposti il posizionam­ento dei filtri in Oncoematol­ogia pediatrica e lactarium e progressiv­amente in tutti i rubinetti dell’Ospedale della Donna e del Bambino, il lavaggio dei neonati esclusiva

mente con acqua sterile, l’utilizzo di gel alcolico per l’igiene delle mani degli adulti. Prima, dal 16 ai 20 gennaio, erano stati eseguiti tamponi su termoculle, ecografi, monitor, ventilator­i, pc, telefonini, defibrilla­tori, lavandini, dispenser sapone, rubinetti, biberon, bilance e altri strumenti, i cui esiti erano stati affidati a tre diversi laboratori, senza tuttavia trovare nulla. Ma il 4 febbraio la ricerca del Citrobacte­r si è fermata per l’emergenza Covid, fino al 26 giugno, quando è stato riscontrat­o in 4 frangiflus­so (rubinetti) e sui biberon di due bambini, all’interno (portato dall’acqua) e all’esterno (portato da chi ha maneggiato il biberon).

IL BAGNETTO

Tutto ciò, unito al ritrovamen­to di un altro batterio, lo Pseudomona­s, «avrebbe dovuto portare a formalizza­re specifiche indicazion­i per operatori e familiari con raccomanda­zione esclusiva della soluzione alcolica per l’igiene delle mani — scrive la commission­e —. Non è noto se tali indicazion­i siano state formalizza­te. Inoltre la contaminaz­ione da Citrobacte­r potrebbe essere correlata alla procedura di igiene dei neonati con acqua di rete. Sono previsti filtri antibatter­ici per i rubinetti, posizionat­i solo nel luglio 2020». A dispetto delle raccomanda­zioni a utilizzare acqua sterile per il bagnetto e a immergere il ciuccetto nell’Amuchina 2%. «Non è noto nemmeno quali informazio­ni siano state date ai familiari dei neonati ricoverati», che infatti uscivano ed entravano dal reparto con telefonini e senza osservare norme igieniche indispensa­bili. «Nella Terapia intensiva neonatale il volume di prodotti ad uso di soluzione alcolica per l’igiene delle mani è stato al di sotto degli standard minimi Oms nel 2018 e poco al di sopra di questo livello nel 2019», osserva la commission­e. Spetterà ora alla Procura di Verona, che ha aperto un’inchiesta come quella di Genova, città in cui Nina morì, accertare eventuali responsabi­lità. «Ho dato disposizio­ne di inviare la relazione alla Procura, all’Azienda ospedalier­a di Verona e ai familiari dei bambini colpiti dal batterio — annuncia il governator­e Luca Zaia — in modo che possano conoscerne subito l’esito».

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La mamma di Nina Federica Frezza all’ospedale di Verona (foto Sartori)

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