Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Eremitani, la rivoluzione di Giotto
Alla riscoperta della sala agli Eremitani di Padova. La rappresentazione di Cristo nella «Croce» segna la rottura con Cimabue I frammenti di un ciclo di affreschi
La testa, le dita della mano e le ginocchia sporgono in avanti, i piedi sono sovrapposti l’uno sull’altro, l’esile corpo sembra affondare verso il basso, gravato dal suo stesso peso verso il Golgota, la rappresentazione del Calvario col teschio di Adamo su cui gocciola il sangue per redimere il peccato originale del progenitore. Ma è il volto del Cristo su quella Croce, dipinta da Giotto, che colpisce e pervade di una umanità eternata l’intero ambiente. Siamo nella sala dedicata al rivoluzionario pittore e architetto trecentesco, tra le più significative dei Musei Civici agli Eremitani, il complesso museale situato nell’omonima piazza a Padova a cui è annessa la cappella degli Scrovegni con il celebre ciclo di affreschi giotteschi. Oltre al crocifisso, la sala accoglie il Dio Padre in trono, sempre di Giotto, frammenti del ciclo di affreschi di Pietro da Rimini e Giuliano da Rimini (?) raffiguranti scene della vita di Cristo staccati dal convento degli Eremitani e delle Tavolette di Pittore veneto fine XIII - inizi XIV secolo con la Madonna e San Giovanni provenienti dalla sacrestia degli Scrovegni.
Era originariamente collocata nella Cappella Sistina del Medioevo, appesa al centro della chiesetta, la croce double face sagomata a tempera e oro su tavola di pioppo (223x164 cm), databile al 1304 circa. Coeva al ciclo di affreschi con cui mostra stringenti affinità stilistiche, dipinta da entrambi i lati, è incastonata in una cornice mistilinea, intagliata lungo i bordi con raffinati motivi ornamentali vegetali e con lo sfondo che sembra tinteggiato a imitazione di una stoffa di seta, forse un lampasso. La luce morbida mette in risalto le membra, le vene, i tendini, lo schema osseo della gabbia toracica e l’intera figura del Cristo, intriso di realismo nella sofferenza. Il Figlio di Dio è affiancato ai lati dai dolenti Maria e Giovanni a mezzo busto, col Redentore nella cimasa in alto. L’opera del maestro fiorentino esemplifica come la pittura dopo di lui non sarà più come prima: il rinnovamento del linguaggio figurativo è in quel crocifisso pregno di una viva presenza umana, che mostra la naturalezza delle figure, in contrasto con l’arte italiana precedente, appiattita sui modelli della grecità bizantina e tendente a disegnare immagini idealizzate, come è possibile ancora vedere nell’arte del suo mentore Cimabue. Elegantissima per la ricchezza dei colori smaltati e per l’andamento modellato del supporto dal disegno gotico, la Croce di Giotto presenta nel verso – purtroppo molto deteriorato - l’Agnello mistico nel punto di incrocio tra i bracci ed entro i tondi i simboli degli evangelisti.
È un universo formale di grande asciuttezza che ritroviamo pure nella tavola (contemporanea, realizzata tra il 1303 e 1305) del Dio Padre in trono, che raffigura l’Eterno Padre colto nell’atto di conferire all’arcangelo Gabriele l’incarico dell’Annunciazione. Protagonista assoluto è il vero, la figura del Padre è una presenza tangibile, umana, concreta, così reale da occupare fisicamente lo spazio. Il dipinto era inserito tra gli affreschi dell’arco trionfale della Cappella degli Scrovegni, l’angelo non è sul legno ma affrescato sul muro.
Nella sala pure due tavolette di un coevo autore veneto che ripropone le figure della Madonna e San Giovanni mentre sui muri ecco le Storie
- ciclo di affreschi di cui sopravvivono 18 frammenti, provenienti da un locale del convento degli Eremitani - opera forse di Pietro da Rimini con l’aiuto di Giuliano, che rimandano al ruolo svolto da Giotto nella città del Santo. L’esperienza dei riminesi segna una fase di ricerca di effetti più drammatici, rispetto alla precedente caratterizzata da note più solenni. Nella direzione di quel naturalismo tracciato dal genio di Giotto di Bondone.
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Il contrasto con l’arte italiana precedente, appiattita sui modelli della grecità bizantina Qui siamo di fronte a una viva presenza umana che mostra la naturalezza delle figure