Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
ANTI-CASTA E BUONA POLITICA
Consiglio a tutti la lettura de La conquista di Roma, uno stupendo romanzo in cui si dipinge con vigore realistico la vita sociale e politica della nostra Capitale, attraverso gli occhi di un giovane neo deputato della Basilicata, partito dalla sua terra pieno di fiducia e speranza e che, invece, dovrà scontrarsi con i vizi, le mediocrità e il malaffare, dove traspare con nitidezza la sensazione di immoralità che si nutre nei confronti del Parlamento, considerato il vero e proprio luogo dell’affarismo e della corruzione.
Sembrano contenuti che si possono ben vestire alla nostra quotidianità, ma siamo, però, nel 1885 quando la pluricandidata al Premio Nobel per la Letteratura Matilde Serao, autrice troppo spesso dimenticata, lo scrive. La letteratura è utile specchio della sensibilità del proprio tempo e, in questo caso, esprime meglio di altri strumenti quel senso di disagio e di lontananza tra la società e il palazzo, fra la comunità e le Istituzioni. Questo filo di antiparlamentarismo accompagna la storia italiana e caratterizza anche il dibattito attorno al prossimo imminente referendum in cui si chiede di eliminare una fetta di rappresentanza per rappresaglia nei confronti di una casta verso cui rigettare ogni male del Paese. Che il livello della classe politica degli ultimi 30 anni sia scaduto e che molte scelte strategiche errate siano imputabili ad incompetenza e superficialità è certamente vero, ma questo non può trasformarsi in sadica ripicca con cui diminuire i parlamentari. Non accorgendosi, oltretutto, che la riduzione del numero di rappresentanti non influisce per nulla sui metodi di selezione della classe dirigente. Dagli anni Settanta la storia politica italiana è scandita da quella referendaria, dalle opzioni su divorzio e aborto, fino ai quesiti proposti da Berlusconi e Renzi. La percezione è che il «Sì» vincerà proprio per una scelta basata su petizioni anti casta. Dal punto di vista metodologico appare illogico, non aprendo ad alcuna visione sul futuro degli assetti istituzionali e non offrendo alcuna prospettiva riformatrice. Neppure il tema sulla riduzione dei costi ha solide fondamenta, sia per il risibile risparmio, sia in quanto, banalmente, la democrazia per funzionare ha dei costi endogeni, sale del pluralismo, del confronto e della mediazione. Altrimenti meglio sarebbe ripercorrere quanto già Asimov proponeva nel 1955 nel suo Diritto al voto. Con la satira abrasiva che lo contraddistingue descrive una realtà di democrazia apparente, in cui un solo uomo, scelto a campione, può votare per tutti. La forma è salva e il sistema risulta semplificato ma il paradosso è che quel frastornato prescelto elettore verrà ugualmente blandito, adulato, indotto alla corruzione.