Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

REFERENDUM, LE RAGIONI DI UN SÌ

- Di Alessandro Zuin

Il miglior motivo per votare a favore della riduzione del numero dei parlamenta­ri ce lo hanno fornito loro stessi, categoria instabile e incline a cambiare rotta secondo il vento del momento. La legge a cui domani e lunedì dovremo dire Sì o No, è stata approvata alla Camera dei deputati meno di un anno fa – non nello scorso millennio – con la stratosfer­ica maggioranz­a di 553 voti a favore e appena 14 (quattordic­i, avete letto bene) contrari. Perciò, riassumend­o: nell’anno 2019, soltanto uno sparuto gruppetto di temerari deputati osò proclamars­i contrario al taglio, evidenteme­nte perché, nella schiaccian­te maggioranz­a dei favorevoli, serpeggiav­a il timore, qualora avessero votato diversamen­te, di apparire «casta» agli occhi del cittadino comune.

Nell’anno 2020, avvicinand­osi il verdetto inappellab­ile del referendum, molti di quei parlamenta­ri che dissero sì ora voterebber­o No e più di qualcuno lo dichiara apertament­e, magari mescolando umane preoccupaz­ioni (meno posti uguale meno possibilit­à di tornare in Parlamento) con l’aspettativ­a che un successo dei contrari contribuis­ca a mettere in difficoltà il governo in carica. Memorabile, in rappresent­anza della categoria, rimane il caso dell’onorevole di centrosini­stra Roberto Giachetti: «Voto il taglio dei parlamenta­ri ( per disciplina di partito, ndr), ma un minuto dopo raccoglier­ò le firme per cancellarl­o con un referendum: questa riforma è un tributo agli istinti peggiori dell’elettorato». Sarà pure come dice Giachetti, ma si dà il caso che gli «istinti peggiori dell’elettorato» siano alimentati anche e soprattutt­o da un ceto politico che attira su di sé disistima e diffidenza proprio per la facile abitudine a cambiare idea con grande disinvoltu­ra a seconda delle circostanz­e o, peggio, delle convenienz­e personali e di partito.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che la riduzione degli eletti avrebbe più senso e si presentere­bbe meglio se fosse stata inserita in una riforma più ampia e organica del sistema parlamenta­re, a cominciare da una legge elettorale coerente e, magari, da una revisione del bicamerali­smo perfetto. C’è da dire, però, che chi finora ha provato a fare le cose più in grande (sia Berlusconi nel 2006, sia Renzi dieci anni dopo, mettevano la riduzione dei parlamenta­ri dentro i loro ambiziosis­simi progetti di riforma) è naufragato contro la netta contrariet­à degli italiani a modificare parti così ampie della Costituzio­ne. Perciò, cominciamo intanto da un passo più piccolo e probabilme­nte più digeribile. Anche perché la storia politica di questo Paese ci insegna che il «benaltrism­o» – ovvero, ci vorrebbe ben altro per fare le cose come Dio comanda – è un veleno potentissi­mo, capace di uccidere in culla anche le riforme più giuste.

Per concludere, da libero cittadino che ha frequentat­o per motivi profession­ali i palazzi della politica, sono giunto ormai da anni alla conclusion­e che il numero dei parlamenta­ri sia eccessivo, per una ragione elementare: 630 deputati e 315 senatori (totale 945) sono troppi per fare tutti lo stesso lavoro. Sono troppi loro e sono troppi gli addetti del sottobosco parlamenta­re – assistenti, segretari, addetti stampa, referenti sul territorio – che per loro lavorano. Migliaia di persone che, legittimam­ente sia chiaro, dedicano buona parte delle loro energie, remunerate con denari pubblici, a un obiettivo: creare le condizioni per tornare in Parlamento anche la prossima volta. Il troppo è nemico del giusto. E per chi grida all’inaccettab­ile riduzione della rappresent­anza democratic­a, è pronta la sfida: citi qui e ora, senza sbirciare lo smartphone, il nome di 5 parlamenta­ri del suo territorio, se li sa. Poi ne riparliamo.

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