Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Post-Covid, il Veneto lavori in squadra»
«Il Veneto ritrovi una sua voce unitaria, meno provinciale e più internazionale. Questo è il futuro politico post-Covid».
È paradossale, ma in questi giorni si discute poco del futuro del Veneto. Incide la straziante fatica del Covid-19, un’incertezza abissale che non c’era dalla Seconda Guerra Mondiale, le peripezie nel far campagna elettorale ad agosto con l’Amuchina e i saluti col gomito da Brutto Anatroccolo, un risultato delle elezioni regionali che non richiede Nostradamus e che provoca una certa letargia. Eppure, ancor più che nel passato, il Veneto è di fronte a sfide impegnative, pericolose quanto avvincenti. A fronte dei suoi straordinari punti di forza, dei
suoi geyser di energie, civili, imprenditoriali, culturali, professionali, il Veneto ha problemi strutturali. I giovani se ne vanno in numero vergognoso (25.000 all’anno), le infrastrutture non si fanno mai (la Pedemontana, la rete integrata di trasporti regionali), la differenza delle retribuzioni con Lombardia ed Emilia Romagna cresce di anno in anno, la (mia) città più importante, Venezia, è in una crisi economica mai vista (essendosi follemente sbilanciata sul turismo), ma lo sono in fondo tutte le città (e meno le aree extraurbane, ma non di solo Prosecco vive l’uomo), l’area industriale più rilevante - Marghera - è tuttora in cerca di un destino (e di una bonifica), non ci sono (quasi) più banche venete, c’è un solo grosso editore e tante proprietà anche dei giornali sono spesso fuori regione. Certo, il mondo si è fatto più grande, e oggi il Nord Italia, finito il triangolo industriale a ponente, è competitivo con l’asse Lombardia - Est, un’area da più di 20 milioni di persone che alla fin fine sono quelle che altrove vivono in una sola megalopoli, Londra o Parigi, per non parlare della Cina. L’area delle Olimpiadi 2026, Milano-Cortina-eccetera, il cui commuovente video di presentazione conferma questo assunto perché, tra vette innevate e slittini, mostra più volte anche Piazza San Marco, dove si scia di rado ma da dove si guarda almeno alla pari ogni altro simbolo del mondo. Non c’è dubbio però che il Veneto, comunque, sia diventato periferico, conti meno di trent’anni fa. Il Covid-19, tuttavia, cambia alcune regole del gioco. La crisi attuale di Milano e di tutte le grandi città cambia altre regole del gioco, in un mondo che sarà più diluito e diffuso. Il Next Generation / Recovery Fund ne cambia altre ancora, perché porterà in regione (venti?) miliardi da spendere. Che cosa fare? Quali sono i progetti per i prossimi anni? Quali saranno i giganteschi investimenti per traghettare il Veneto nel futuro, per evitarne un declino magari anche lentissimo ma inevitabile? In che modo si attrarranno i lavoratori internazionali dello smartworking? In che modo si andrà a caccia degli studenti internazionali che potranno davvero studiare (da) dovunque? In che modo arriveranno qui gli investimenti, le agenzie internazionali per l’ambiente? In che modo il Veneto riuscirà a diventare capitale dell’innovazione europea? Che ne sarà di Venezia? Se ne parla poco. Le enormi potenzialità del Veneto sono chiare a tutti, vista la sua collocazione geopolitica, la tradizione di ricchezza e invenzione, la manifattura indomita, la bellezza del suo territorio, la sua placida diffusione senza periferia, la prova di eroismo ma soprattutto di competenza data durante il lockdown, i grandi patrimoni, economici e non solo, ancora presenti. Molti guardano al Veneto multicentrico come un possibile modello vincente. Ma è solo avendo chiari i problemi e le minacce che si può cambiare. La cifra è un cambiamento culturale. Non solo e non tanto perché il Veneto deve andare oltre la sua sfinente dolcezza bucolica e deve ritrovare una sua voce urbana, meno provinciale e più internazionale, europea, ma soprattutto perché deve farlo con una voce unitaria, aggregatrice, di qualità. Le grandi eccellenze individuali devono cominciare a far squadra. Questa è la responsabilità del futuro politico. Questa, in fondo, è la migliore lezione del Covid-19; nessuno si salva da solo, insieme si fanno cose straordinarie.