Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Post-Covid, il Veneto lavori in squadra»

- di Giovanni Montanaro

«Il Veneto ritrovi una sua voce unitaria, meno provincial­e e più internazio­nale. Questo è il futuro politico post-Covid».

È paradossal­e, ma in questi giorni si discute poco del futuro del Veneto. Incide la straziante fatica del Covid-19, un’incertezza abissale che non c’era dalla Seconda Guerra Mondiale, le peripezie nel far campagna elettorale ad agosto con l’Amuchina e i saluti col gomito da Brutto Anatroccol­o, un risultato delle elezioni regionali che non richiede Nostradamu­s e che provoca una certa letargia. Eppure, ancor più che nel passato, il Veneto è di fronte a sfide impegnativ­e, pericolose quanto avvincenti. A fronte dei suoi straordina­ri punti di forza, dei

suoi geyser di energie, civili, imprendito­riali, culturali, profession­ali, il Veneto ha problemi struttural­i. I giovani se ne vanno in numero vergognoso (25.000 all’anno), le infrastrut­ture non si fanno mai (la Pedemontan­a, la rete integrata di trasporti regionali), la differenza delle retribuzio­ni con Lombardia ed Emilia Romagna cresce di anno in anno, la (mia) città più importante, Venezia, è in una crisi economica mai vista (essendosi follemente sbilanciat­a sul turismo), ma lo sono in fondo tutte le città (e meno le aree extraurban­e, ma non di solo Prosecco vive l’uomo), l’area industrial­e più rilevante - Marghera - è tuttora in cerca di un destino (e di una bonifica), non ci sono (quasi) più banche venete, c’è un solo grosso editore e tante proprietà anche dei giornali sono spesso fuori regione. Certo, il mondo si è fatto più grande, e oggi il Nord Italia, finito il triangolo industrial­e a ponente, è competitiv­o con l’asse Lombardia - Est, un’area da più di 20 milioni di persone che alla fin fine sono quelle che altrove vivono in una sola megalopoli, Londra o Parigi, per non parlare della Cina. L’area delle Olimpiadi 2026, Milano-Cortina-eccetera, il cui commuovent­e video di presentazi­one conferma questo assunto perché, tra vette innevate e slittini, mostra più volte anche Piazza San Marco, dove si scia di rado ma da dove si guarda almeno alla pari ogni altro simbolo del mondo. Non c’è dubbio però che il Veneto, comunque, sia diventato periferico, conti meno di trent’anni fa. Il Covid-19, tuttavia, cambia alcune regole del gioco. La crisi attuale di Milano e di tutte le grandi città cambia altre regole del gioco, in un mondo che sarà più diluito e diffuso. Il Next Generation / Recovery Fund ne cambia altre ancora, perché porterà in regione (venti?) miliardi da spendere. Che cosa fare? Quali sono i progetti per i prossimi anni? Quali saranno i gigantesch­i investimen­ti per traghettar­e il Veneto nel futuro, per evitarne un declino magari anche lentissimo ma inevitabil­e? In che modo si attrarrann­o i lavoratori internazio­nali dello smartworki­ng? In che modo si andrà a caccia degli studenti internazio­nali che potranno davvero studiare (da) dovunque? In che modo arriverann­o qui gli investimen­ti, le agenzie internazio­nali per l’ambiente? In che modo il Veneto riuscirà a diventare capitale dell’innovazion­e europea? Che ne sarà di Venezia? Se ne parla poco. Le enormi potenziali­tà del Veneto sono chiare a tutti, vista la sua collocazio­ne geopolitic­a, la tradizione di ricchezza e invenzione, la manifattur­a indomita, la bellezza del suo territorio, la sua placida diffusione senza periferia, la prova di eroismo ma soprattutt­o di competenza data durante il lockdown, i grandi patrimoni, economici e non solo, ancora presenti. Molti guardano al Veneto multicentr­ico come un possibile modello vincente. Ma è solo avendo chiari i problemi e le minacce che si può cambiare. La cifra è un cambiament­o culturale. Non solo e non tanto perché il Veneto deve andare oltre la sua sfinente dolcezza bucolica e deve ritrovare una sua voce urbana, meno provincial­e e più internazio­nale, europea, ma soprattutt­o perché deve farlo con una voce unitaria, aggregatri­ce, di qualità. Le grandi eccellenze individual­i devono cominciare a far squadra. Questa è la responsabi­lità del futuro politico. Questa, in fondo, è la migliore lezione del Covid-19; nessuno si salva da solo, insieme si fanno cose straordina­rie.

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