Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
I ricordi del manager della carità «Un’altra vita? Farei ancora il prete» L’ultimo sogno: la casa per senzatetto
MESTRE La mia fortuna è stata quella di aver fatto sempre ciò che mi sentivo di dover fare e che mi è piaciuto tantissimo, ossia fare il prete, senza aggiunte, semplicemente il prete, il mestiere che rifarei se dovessi vivere un’altra volta. Don Armando sta tutto in queste poche parole che ha annotato nel suo ultimo libro, «Le mie esperienze pastorali», che ha scritto durante il lokdown (si trova nella chiesa del cimitero e ai centri don Vecchi). Ci sono le sue chiese, i suoi parrocchiani, i volontari e gi aiutanti, le sfide vinte, quelle che ha dovuto mettere da parte e i sogni, che continua ad avere a 91 anni. Riflessioni e foto: da quelle di famiglia con i genitori e i fratelli a quelle con i suoi chierichetti, passando per l’incontro con l’allora patriarca Roncalli in visita agli scout dei Gesuati. «Dono ai miei amici e alla mia gente questo cantico non tessuto di note o di parole, ma di fatti concreti, sperando che sia anche per loro motivo di speranza, di incentivo, di pungolo all’impegno a continuar a realizzare il Regno annunciato da Cristo», dice. Fare il prete per don Armando è sempre stata la missione più bella. E poco importa se l’abito è tutto nero, e «vesto da beccamorto» ricordando il romanzo di Bernanos «Il diario di un curato di campagna», perché don Trevisiol fa sue le parole del protagonista: «Io ho nel cuore la gioia e la speranza che vi darei, qualora me lo chiedeste». «Sono sempre stato convito che i preti oggi stiano sbagliando a dedicare il 90 per cento e più del loro tempo e delle loro energie al piccolo gregge di devoti che riposano all’ombra del campanile — scrive — trascurando gran parte della
pecore smarrite». Da queste considerazioni è così nato l’imperativo di don Armando di impegnarsi a favore dei «lontani». Ha cominciato con i fogli parrocchiali, per poi passare alle opere di carità, ai primi alloggi per anziani, fino ai sette centri Don Vecchi che è riuscito a costruire grazie alle donazioni di fedeli e imprenditori che in lui hanno visto il manager della carità, senza mai dimenticare però i suoi impegni da parroco. Ricorda ad esempio la benedizione delle case? «Ogni pomeriggio da settembre a giugno avevo un buon numero di scale da salire e la tensione di trovare la nota giusta per aprire ad un incontro vero. Non mi sento un martire per questa fatica, anzi uscivo sempre gratificato da questi incontri». L’ultimo sogno si chiama ostello per i senzatetto: «Mi strazia il cuore vedere questa povera gente seduta sui gradini mangiare quello che riescono a trovare, i tremila cani che vivono a Mestre sono trattati meglio di questa povera gente». Di qui l’appello ai giovani, e ai più generosi: «Io me ne sto andando con questo peccato che mi pesa sulla coscienza. Permettetemi almeno di confidarvi questa ambascia e di mettervi in guardia perché non commettiate lo stesso peccato che ho fatto io, e abbiate un giorno lo stesso rimorso». ( f. b.)