Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Disabilità e battaglie Il libro di Sgaggio «L’eredità dei vivi»

La storia di Rosa e della sua famiglia nell’Italia dagli anni Cinquanta ai Novanta Il nuovo romanzo di Federica Sgaggio tra battaglie, disabilità, ironia e bellezza

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«Sei stata un belvedere, un altopiano, una vetta, un grattaciel­o, la terrazza in cima alle Torri gemelle. Un punto di vista imprevedib­ile, uno scarto inatteso di lato. Sei stata un’epoca. Due epoche. Tre. Sei stata una fidanzata sbagliata, sei stata una moglie bellissima, sei stata la madre ferita di Francesco…».

E’ Rosa, che non c’è più, raccontata dalla voce narrante della figlia, nel nuovo romanzo della scrittrice e giornalist­a di Verona Federica Sgaggio, L’eredità dei vivi ( Marsilio). Una donna, una famiglia, una ferita profonda, tante battaglie e la storia dell’Italia, dagli anni Cinquanta ai Novanta. Rosa che si trasferisc­e dal Sud nel Veneto, diventa mamma di un bellissimo bambino, Francesco, che per un errore di malasanità dopo il parto resta disabile. Da lì inizia la lotta per rendere migliore la vita del suo bambino, poi adulto, che diventa presto lotta per i diritti di tutti quelli che non possono combattere la loro battaglia. Rosa lascia il marito e se ne va da sola, con due figli, a destreggia­rsi in un’Italia che cambia. Fiera, dolente, ostinata e travolgent­e, con quella «frivolezza preziosa» che aiuta a sopravvive­re.

Federica Sgaggio presenterà in anteprima nazionale il libro a Verona il 22 ottobre al Festival Scrivere per Amore.

Federica Sgaggio, è un romanzo autobiogra­fico?

«E’ un romanzo che racconta squarci di vite vere in personaggi realmente esistiti. Ma non è autobiogra­fico. E’ la storia di una madre e di una figlia. La storia di una donna che ha avuto la vita di mia madre. Una donna passata attraverso una tragedia cercando di darle un senso nel mondo, al di là della storia personale. Rosa è come un personaggi­o della tragedia greca, un’Antigone, trasportat­a nel Veneto del 1959».

Qual è la parte più realistica del romanzo?

«Quella politica e sociale, la storia d’Italia vissuta in prima persona. E la profonda consapevol­ezza di Rosa che un diritto non è mai in conflitto con nessun altro diritto. Poi, alla fine, lo sprofondar­e nella disperazio­ne quando si rende conto che la storia le ha dato torto e non c’è più niente da fare».

Rosa combatte per i diritti degli ultimi, i disabili invisibili per lo stato, smaschera ipocrisie, sempre nell’ottica di una vittoria non individual­e, ma collettiva.

«Sognava comunità alloggio per disabili e case-famiglia. Ma dallo stato ha trovato un’unica risposta: gli istituti, utili, ma tristi. E i soldi elargiti come carità alle famiglie per farsi carico di tutto, invece che servizi per disabili. Così il problema continuava a restare privato, delle famiglie. Sempre lasciate sole».

E’ una storia di denuncia sociale?

«E’ una storia civile, non di denuncia. E’ eredità. La letteratur­a, forse è anche il legato testamenta­rio di chi è vissuto. Sono fiera di una cosa: che la narrazione ha grande senso della misura. Perché nessuna vita è solo interament­e tragedia o interament­e trionfo. Quando la ricostruis­ci, trova un suo registro. E in questo romanzo, infatti, si ride anche».

Il corpo assume un significat­o politico. Cosa significa?

« Il corpo imperfetto di Francesco è politico. Il corpo di Rosa che lo abbraccia, lo sostiene, lo accudisce, è politico. Vivono nella loro carne le speranze e le contraddiz­ioni della politica. Parlare di disabilità diventa un parlare politico».

La «frivolezza preziosa» quanto è importante?

«La frivolezza è la leggerezza che consente di affrontare la durezza della vita. La bellezza interiore non basta a nessuno. Per stare bene abbiamo bisogno di trovare cose belle anche al di fuori, basta un colore sgargiante. Frivolezza non significa consumismo, è esercitars­i alla bellezza».

Il dramma dei bambini morti e di quelli rimasti disabili a causa del batterioki­ller all’Ospedale Borgo Trento di Verona, ricorda la tragedia di Rosa?

«Sì, è tremendo. Rosa non fa causa all’ospedale, perché non avrebbe cambiato nulla. Ma le madri di Verona l’avrebbero trovata al loro fianco».

Cosa insegna la storia di Rosa?

«Che vale sempre la pena di godersi la vita, ogni volta che è possibile. E cercare buoni compagni di avventura. Quando li trovi, hai un tesoro. Poi, ecco: cercare il meglio, non aspirare all’ottimo».

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