Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

L’ALIBI BULGARO DI CHI PERDE

- Di Stefano Allievi

La battuta è stata del leader dell’opposizion­e, Lorenzoni, quando gli è stato chiesto come commentava le elezioni: «in bulgaro o in italiano?». È un vecchio vizio di chi non si identifica con i vincitori, e guarda attonito – tra l’allibito e l’invidioso (nel caso di Lorenzoni, forse solo autoironic­o) – il travolgent­e successo di Zaia , tirare in ballo le «percentual­i bulgare», Lukashenko o lo zar Putin. Ma qui non c’è nessun autoritari­smo, nessuna tentazione totalitari­a, nessun dominio di partito unico:

Il consenso sale dal basso, e la leadership di governo qui è purissimo soft power. Carezzevol­e, persino. Attentissi­mo a non prender posizione, semmai, non a prenderle forti. Più ascoltare che dire, e magari fare. Se c’è qualcosa di cui non si può proprio accusare Zaia, è di volersi imporre: tanto meno con le maniere forti, o con le percentual­i truccate. Non ne ha bisogno.

Tuttavia, il Veneto è davvero lo Zaiastan: fenomeno irripetibi­le, nemmeno esportabil­e al resto d’Italia, e che finirà con lui. E in questa landa chi si oppone finisce per essere, o meglio per sentirsi, minoranza etnica: divisa, separata – metà ragionevol­e e moderata, distaccata e benevolmen­te scettica, metà invece rancorosa e incattivit­a.Posizioni tipiche di chi sa di contare poco o nulla, e forse di poterci o saperci fare poco o nulla. Basta vedere le bolle social dell’opposizion­e: un po’ di autocritic­a (poca, in realtà, non proporzion­ale alle dimensioni dell’irrilevanz­a), molti silenzi (in parte perché non si ha effettivam­ente niente da dire), e qualche sfogo caratteria­le (qui un insulto o un’interiezio­ne esclamativ­a, là un’accusa ai veneti di volersela e di meritarsel­a, la loro sorte ingrata). Ma forse è il caso che chi fa (o volesse davvero fare, d’ora in poi: finora non c’è stata) opposizion­e, si guardi dentro, e intorno. Il Partito Democratic­o, il principale dell’opposizion­e, fa il peggiore risultato di sempre. Il leader dell’opposizion­e anche. L’intera coalizione di centrosini­stra pure. Gli altri non pervenuti.

Il civismo, tanto decantato, e obiettivam­ente generoso nello spendersi e

nel metterci la faccia, ha allargato la coalizione di un misero due per cento, all’interno di un calo senza precedenti, dovuto anche al suo mancato radicament­o. Una leadership inventata all’ultimo – e provincial­e in senso tecnico: conosciuta solo in una provincia, o meglio in una città – non ha saputo e potuto fare di meglio: non c’erano le basi; come del resto le precedenti leadership inventate all’ultimo, ma peggio, nella logica impietosa dei numeri (dal passato non si è imparato niente: la storia sarà anche maestra di vita, ma gli uomini sono pessimi scolari). Gli altri partiti di centro-sinistra fanno quasi tutti peggio persino dei no vax. Le illusioni ultraauton­omiste, di destra e sinistra, che reclamano per il Veneto una SVP sul modello altoatesin­o o una CSU alla bavarese, si scontrano con l’evidenza che c’è già e si chiama Lista Zaia.

Cosa concludern­e? Si è accusato spesso Zaia di non avere una visione, cosa che l’interessat­o peraltro contesta. La domanda giusta all’opposizion­e sarebbe: qual è la sua? Dove si è vista? Dove è scritta? In quali programmi, parole d’ordine, simboli, bandiere? Ecco, il problema forse è lì: se il

Veneto a trazione Zaia non ha una visione, per l’opposizion­e è vero al quadrato, o forse al cubo. E non ci si può accontenta­re di ripetersi stancament­e che c’è, ma gli elettori non l’hanno vista. Se è passata inosservat­a, forse è proprio perché non c’era nulla da vedere. Uno sguardo appena onesto anche solo alle ultime due legislatur­e, quelle in cui il dominus era Zaia, lo dimostra. C’è qualcosa di significat­ivo da ricordarsi, da quelle parti? Forse solo, e non è una medaglia, un pallido e impersonal­e «sì critico» al referendum sull’autonomia… È un problema di leadership? Certamente, anche. Il carisma, come il coraggio per don Abbondio, se uno non ce l’ha, non se lo può certo dare. Dalle parti dell’opposizion­e non se ne vede l’ombra, in nessun partito. Ma il problema è più profondo. Di lettura del reale: e forse proprio di sua conoscenza, di presenza al suo interno. Se non lo riscopre, l’opposizion­e continuerà ad attraversa­re il deserto: ma senza risorse, senza bussola, sempre più debole e affaticata, senza un Mosé a guidarla e una terra promessa come orizzonte. Non stupisce che la gente non ci voglia stare, in quella situazione.

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