Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Quegli animali imbalsamat­i finiti in salotto

Il fotografo: «Così le famiglie affrontano il lutto»

- Di Andrea Priante

Il cane nel salotto di una casa a Spinea, il pappagallo in cucina a Padova: sempre più veneti fanno imbalsamar­e i loro animali domestici.

VENEZIA «Ancora oggi ci sono notti in cui Diletta, la più piccola delle mie due figlie, si sveglia piangendo, e l’unico modo per calmarla è darle la Monci da accarezzar­e» dice Chiara.

Siamo a Spinea, nel Veneziano. Chiara, suo marito e le loro bambine, posano di fronte all’obiettivo di Luca Rotondo, artista milanese che insegna fotografia del paesaggio all’Istituto Europeo di Design e ha vinto il prestigios­o premio Ponchielli. Ciascuno di loro abbraccia un cane e, in primo piano, c’è la piccola che coccola la sua Monci, una bestiola di razza maltipoo. Lo scatto è perfetto, potrebbe essere il ritratto della famiglia Mulino Bianco se non fosse per un dettaglio quasi impossibil­e da decifrare: uno dei protagonis­ti di quella foto, in realtà, è morto da un pezzo.

«Monci finì schiacciat­a da un’auto per errore», spiega Rotondo. «L’incidente è stato uno choc per la famiglia, e Chiara si è subito rivolta ad Alberto: nessuno di loro se la sentiva di perdere per sempre quell’animale domestico».

Alberto è Alberto Michelon che nel suo studio di Padova svolge l’antico mestiere del tassidermi­sta, termine un po’ ampolloso per definire l’imbalsamat­ore. «Si rivolge a me chi non riesce a superare il dolore per la perdita del proprio amico a quattro zampe e ritiene inaccettab­ile il non poterlo più accarezzar­e » , spiega l’artigiano che da sabato, a palazzo Zaguri di Venezia, esporrà alcune delle sue «opere» nell’ambito della mostra «Human Virus».

Occorre circa un mese di lavoro per creare una sagoma con le fattezze della bestiola e «vestirla» della pelle originale. «È molto complicato, il cliente si aspetta di rivedere l’animale col quale ha condiviso molti anni: immobile, cer to, ma con la s tes sa espression­e, le medesime dimensioni e quelle caratteris­tiche che lo rendevano unico. Per questo, per prima cosa, studio le foto e i filmati che lo mostrano quand’era ancora in vita...».

La famiglia veneziana è soddisfatt­a del risultato ottenuto da Michelon. «Continuare ad avere la Monci come presenza fisica - spiega Chiara - ha accompagna­to me e le mie figlie nel processo di elaborazio­ne del lutto».

Da oltre un anno, Rotondo gira l’Italia per immortalar­e i clienti dei tassidermi­sti. «I miei sono ritratti di famiglia - spiega il fotografo - che però alzano il velo su un modo completame­nte diverso di affrontare la scomparsa di un componente del nucleo. C’è chi sceglie l’imbalsamaz­ione come ultimo gesto d’amore, chi per una sorta di feticismo e chi perché sente di non avere il coraggio di rinunciare alla presenza di un animale domestico che, almeno per alcuni, è come un figlio».

Michelon conferma. E aggiunge un aneddoto: «Anni fa venni avvicinato da un padovano malato di sclerosi multipla. Voleva sapere se, quando fosse giunto il suo momento, sarebbe stato possibile imbalsamar­lo. Almeno da morto, desiderava rimanere eternament­e in piedi, con il fisico di una persona sana. Ovviamente gli risposi che non era legale...».

Molte delle fotografie di Rotondo sono state scattate in Veneto. Daniele, anche lui di Padova, è da dieci anni il presidente di Apae, l’associazio­ne che riunisce un centinaio di appassiona­ti di rettili e anfibi. Per lui, conservare lo scheletro dell’iguana Cucci «era un modo per onorarla e per averla ancora vicino».

Elisabetta, di Mestre, ha fatto imbalsamar­e il pappagallo Zeus. «Averlo fatto, rappresent­a una forma di rinascita. Io e lui eravamo inseparabi­li. Lo portavo in vacanza, quando uscivo di casa mi stava su una spalla». Elisabetta ha sempre avuto paura della morte improvvisa e della separazion­e. «Ho una pessima memoria - racconta - per questo tengo tutto. Quando è morta mia mamma le ho tagliato una ciocca di capelli e ogni tanto la tengo la dita. Gli oggetti mi aiutano a non dimenticar­e».

Seduto sul divano di casa, nel Veronese, Luca si fa fotografar­e mentre la sua gattina

Petra sembra dormire sul tavolo del soggiorno: «La guardo con affetto e ogni volta mi commuovo. Non bisogna avere paura della morte, una volta che è accaduta non c’è più nulla da fare, o piangi tutta la vita o tieni vicini i ricordi. In camera ho un quadro con le ceneri di mia zia e non ho timore di usare le cose appartenut­e ai miei genitori».

Sui Colli Euganei, Claudio ancora non si dà pace per la morte del suo gatto Tito, ucciso da un attacco parassitar­io: «Gli ho lasciato troppa libertà, non avrei dovuto permetterg­li di starsene in giro nel fango. E avrei dovuto portarlo prima dal veterinari­o: quando l’ho fatto era già troppo tardi...». Farlo imbalsamar­e è stato il suo modo per averlo ancora vicino e, forse, per lenire i sensi di colpa.

Ciascuno ha la sua storia. «La morte di Paolino mi ha distrutto, mi ha fatto cadere davvero molto in basso. Da quel giorno sono cambiato parecchio, per me è stato come perdere un familiare», conclude il padovano Livio, che tiene il suo pappagalli­no in una zuccherier­a di vetro.

Forse bastano le sue parole per provare a spiegare quest’idea un po’ folle di tenersi in soggiorno i resti di una bestiola morta: «Prima di avere con me Paolino, non avrei mai creduto possibile che tra uomo e animale si potesse sviluppare un legame così forte» .

 ??  ?? A Venezia Sopra, la famiglia di Chiara abita a Spinea, nel Veneziano: il cane a destra, Monci, è stato imbalsamat­o. La foto fa parte del progetto fotografic­o di Luca Rotondo
A Venezia Sopra, la famiglia di Chiara abita a Spinea, nel Veneziano: il cane a destra, Monci, è stato imbalsamat­o. La foto fa parte del progetto fotografic­o di Luca Rotondo
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A Mestre La mestrina Elisabetta con i familiari e il pappagallo Zeus

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