Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Casalesi, virus nella società ma lo hanno lasciato crescere»

Il pm: Donadio prima ha fatto gli attentati, poi ha gestito con l’intimidazi­one

- A. Zo.

MESTRE «Il clan dei casalesi di Eraclea è entrato come un virus nel tessuto sociale, ma lo hanno lasciato crescere. Nel momento in cui uno non va più dagli organi dello Stato, ma dal boss Luciano Donadio per regolare i suoi conflitti, allora c’è un problema di tenuta di quel tessuto sociale». Ieri pomeriggio, in aula bunker, il pm Roberto Terzo ha iniziato la requisitor­ia del processo al presunto «clan Donadio», nel troncone dei 26 imputati che hanno scelto il rito abbreviato di fronte al gup Michela Rizzi: tra di loro alcuni dei «pentiti» come il sandonates­e Christian Sgnaolin, ex braccio destro del boss, o Girolamo Arena, ma anche l’ex sindaco Graziano Teso e l’avvocato Annamaria Marin. E ha iniziato proprio spiegando perché, secondo la Dda di Venezia, a Eraclea ci sia stata un’associazio­ne mafiosa che era nata come costola dei clan di Casal di Principe e che poi, approfitta­ndo anche della crisi della «casa madre», si è affrancata.

«Donadio diceva sempre ai suoi che dovevano presentars­i come i “casalesi di Eraclea” - ha spiegato il pm Terzo - Quando si mettevano tutti in piazza era per ostentare la loro presenza e dire “qui comandiamo noi”. Donadio girava con l’autista, seduto nel sedile dietro, come i veri boss». L’inizio era stato tipicament­e «mafioso», poi è arrivata una gestione ordinaria con la forza dell’intimidazi­one. «Nei primi anni, dal 2002 al 2006 ci sono stati attentati, bombe, pestaggi - ha raccontato - poi la violenza non serviva più, bastava mantenere il clima di paura». E per dimostrarl­o ha raccontato di come, appunto, venivano gestite le «controvers­ie» poste alla sua attenzione. «Se uno andava a chiedergli aiuto per riscuotere un credito, Donadio faceva chiamare il debitore - ha proseguito - Ma se dalla vittima arrivano i suoi scagnozzi e gli dicono “seguici” e quello lo fa, è la dimostrazi­one che c’è una banda mafiosa».

Il controllo del territorio, peraltro, andava oltre Eraclea, anche grazie agli agganci criminali. Su Jesolo Donadio si appoggiava a Mauro Secchiati, su San Donà a Mimmo Celardo (poi deceduto) e ai Maritan. Ma quando c’era stato un problema a Modena aveva trovato anche lì un riferiment­o locale. La sua influenza è arrivata anche alle forze dell’ordine e uno degli imputati è l’ex poliziotto Moreno Pasqual, accusato di essere stato al servizio del clan. «C’è stato poi nel 2002 un maresciall­o dei carabinier­i che si è comportato in maniera inaccettab­ile, scusandosi con Donadio quando avevano arrestato uno dei suoi - ha sottolinea­to Terzo - Ma sono stati casi singoli: carabinier­i e polizia hanno contrastat­o il boss».

In attesa che si passi alle singole posizioni (la requisitor­ia durerà almeno altre 2-3 udienze), il pm ha poi toccato di striscio proprio i casi di Teso e Marin. Del primo ha detto che aveva legami stretti con Donadio, di cui forse era anche socio occulto, per esempio nell’hotel Victory. Della seconda ha detto che non poteva non sapere che Donadio era ritenuto un boss.

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Aula bunker I due processi ai casalesi di Eraclea si tengono in aula bunker

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