Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’EROSIONE DEL VOTO CATTOLICO
Quale significato per la Chiesa e il mondo cattolico, nel loro pluriforme rapporto con la politica, ci ha consegnato il voto regionale di domenica e lunedì? Due parabole sembrano risultare convergenti: il tramonto ormai acclarato del cattolicesimo democratico e l’ultimo respiro del popolarismo. Due tradizioni cattoliche che, a vario titolo, hanno offerto, qui e là in Veneto, soprattutto a livello locale, alcune esperienze di governo amministrativo: pensiamo alla fase Zanotto a Verona a inizio anni Duemila, oppure alla stagione di Achille Variati a Vicenza, per quanto riguarda la sponda del progressismo bianco; l’allora Udc riusciva ancora a raggranellare un po’ di consenso nell’era Galan, portando in Regione uomini come De Poli o Valdegamberi, oggi passato nella lista leghista di Zaia. Ora tutto questo sembra tramontato. Arturo Lorenzoni, con il suo magro bottino elettorale, sembra attestare che tra l’Adige e l’Adriatico il cattolicesimo democratico sia diventato un corpo totalmente estraneo. Il substrato sociale che ancora il mondo delle parrocchie, dell’associazionismo, dei gruppi solidali esprimono non trova sbocco in una rappresentanza politica. Una volta eravamo democratici, ha intitolato così una sua recente inchiesta Jesus, il mensile «gemello» di Famiglia cristiana. Il Veneto ne è una controprova.
Questo attestato di sparizione di una stagione politica sembra però contrastare con altre esperienze. Guardiamo in città non troppo distanti: Mantova, Bergamo, Lecco. Mantova, dove il candidato di centrosinistra ha vinto al primo turno, è una cittàlaboratorio, dove il Festival della letteratura (ideato e capitanato per anni da un cattolico democratico come Luca Nicolini) ha innervato la vita e la politica cittadina. A Bergamo da oltre dieci anni le Acli locali radunano migliaia di persone in una rassegna culturale dal titolo «Molte fedi sotto lo stesso cielo». Guarda caso, sempre lì governa da due mandati il centrosinistra con un sindaco come Giorgio Gori, certamente amministratore non di sinistra estrema, ma uomo attento e dialogante con la realtà cattolica. A Lecco (città ambrosiana per definizione), dopo oltre 10 anni di guida di un cattolico democratico come Virginio Brivio, il centrodestra non ha fatto il ribaltone e il civico (cattolico) Mauro Gattinoni ha tutte le chance di vincere al ballottaggio. In tutti questi esempi si può scorgere un fil rouge: il cattolicesimo democratico non è (ancora) morto laddove, prima che farsi proposta politica, si fa terreno di coltura di cultura, appartenenza, visione e impegno. Volontariato, società, comunità: parole che diventano poi consenso. Ma che se non ci sono, non permettono uno sbocco politico. Materiale di riflessione per un mondo, quello del centrosinistra, che dovrebbe mischiarsi di più con la piazza che con il palazzo. Capitolo centrodestra. Anche qui il voto del 20 e 21 settembre segnala un lutto: il popolarismo. Il fenomeno Zaia ha ormai inghiottito la partecipazione cattolica al voto. «Tutti i rappresentanti delle civiche che hanno vinto con la Lega sono leghisti»: così Salvini. E se non c’è da dubitare della parola del capo leghista, vien da domandarsi cosa ne è e ne sarà della tradizione popolare, democristiana nel suo senso nobile, fatta di moderatismo, di dialogo sociale, sussidiarietà, solidarietà e difesa della persona, anche e soprattutto del debole, che oggi è il migrante, il senza casa, il disoccupato. Ci è difficile pensare che Luigi Sturzo dorma sonni tranquilli quando i seguaci di Alberto da Giussano, nemici acerrimi di papa Francesco, pensano di porsi come suoi eredi.