Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Autostrade, la revoca è una minaccia ingiusta
«Se entro venerdì Atlantia non cede Autostrade a Cassa depositi e prestiti revochiamo la concessione». Queste le parole del viceministro alle Infrastrutture Cancellieri, ma non diverse quelle, più volte ripetute, del ministro degli Esteri Di Maio sulla necessità di «cacciare i Benetton» dalla società autostradale. Parole incredibili, incredibilmente avallate anche dal ministro dell’Economia, da quello delle Infrastrutture e persino dal presidente del consiglio che pure è professore ordinario di diritto civile. Sembra impossibile che quasi nessuno denunci che simili minacce ledono un caposaldo del diritto qual è l’autonomia negoziale di un soggetto privato, com’è Atlantia, che non può esser condizionata nelle sue scelte dal pericolo che la sua controllata, Autostrade per l’Italia, possa perdere il suo principale asset, la concessione, a meno di non accedere alle richieste del governo di cederne il controllo a Cassa Depositi, controllata dal governo, alle condizioni pretese non è dato di capire, se dal potenziale acquirente o dal governo.
Non occorrerebbe ricordare che il presupposto della revoca - un provvedimento amministrativo che quando ha carattere sanzionatorio dovrebbe chiamarsi decadenza - non può che essere l’inadempimento della concessionaria alle regole che disciplinano la concessione (nel caso, l’eventuale colpevole mancata manutenzione che abbia causato il crollo del ponte Morandi) non la mancata accettazione (da parte della controllante) della richiesta del governo di cedere il controllo della concessionaria. Una volta che tale responsabilità fosse dimostrata, essa potrebbe (anzi dovrebbe) essere posta senz’altro a fondamento della revoca/decadenza della concessione, perché il concessionario avrebbe violato le regole della convenzione che disciplina i rapporti con il concedente e gli obblighi del concessionario, regole nell’interesse della collettività alla corretta gestione della rete autostradale che è un servizio pubblico. In questo caso il provvedimento di decadenza sarebbe doveroso e non potrebbe essere oggetto di trattative o transazioni, come sembra invece stia avvenendo, quando ancora le responsabilità non sono state accertate. Ma la revoca non potrà esser motivata col rifiuto di assecondare le richieste del governo di cedere il controllo di Autostrade.
Prescindiamo dai profili, delicatissimi, dell’incidenza di simili diktat, diffusi dai media, su un titolo quotato in Borsa e sorvoliamo sui possibili reati che la minaccia di un danno ingiusto potrebbe integrare; ma nessuno dei tanti consulenti del governo ha ricordato ai ministri competenti che il diritto amministrativo qualifica i provvedimenti diretti a finalità diverse da quelle per cui la legge li prevede come viziati da «sviamento di potere»; illegittimi, dunque, ed annullabili dal giudice ammi-nistrativo? O le esigenze della politica possono superare così violentemente quelle del diritto? Insomma, usare la revoca, espressione del potere pubblico, per una finalità privatistica (il cambio di azionariato di una società) integra un’evidente illegittimità non sminuita dalla circostanza che il potenziale acquirente sia un ente statale come Cassa Depositi: anzi ciò costituisce forse un ulteriore aggravante perché, abusando dei suoi poteri, il governo vorrebbe avvantaggiare un ente controllato. Nessun organo dello Stato, Corte dei conti, Procure, Anac, Consob, ha niente da dire in proposito anche per evitare che il nostro Paese sia esposto alla diffidenza degli investitori, italiani e stranieri, che sul rispetto delle regole da parte delle amministrazioni pubbliche fondano le decisioni di investimento?