Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Solfatara, la procura chiede 33 anni per i gestori
Nel 2017 morì una famiglia di Meolo. «Non c’erano le misure di sicurezza, i soci sapevano»
Sequestro Secondo la difesa l’area, ora sotto sequestro, andrebbe confiscata
VENEZIA Quasi trentatré anni in tutto, sei al rappresentante legale della società di gestione, cinque anni e quattro mesi a ciascuno dei suoi cinque soci. C’è lo sconto del rito abbreviato, o sarebbero stati nove anni per il primo, otto per gli altri. Ieri, dopo i numerosi rinvii dovuti alla pandemia, capaci di far slittare la data da marzo a ottobre, è ripreso a Napoli il processo contro i vertici della Vulcano Solfatara, la società che aveva il controllo della solfatara di Pozzuoli, tre anni fa. E’ stato allora, nel settembre del 2017, che il cratere ha inghiottito quasi un’intera famiglia arrivata in vacanza da
Meolo: nel ghiaione scivolò prima il piccolo Lorenzo, 11 anni, poi il padre, il 45enne Massimiliano Carrer, nel tentativo di salvare il figlioletto, infine la madre, la 42enne Tiziana Zaramella; si salvò solo il figlio minore, che da allora vive con la zia. Subito emersero gravi lacune nelle misure di sicurezza del sito, le stesse che ieri hanno evidenziato le pm della procura di Napoli davanti al giudice. Giorgio Angarano, legale rappresentante della società, e i soci Maria Angarano, Maria Di Salvo, Maria Di Salvo (omonima), Annarita Letizia e Francesco Di Salvo si vedono contestati 14 capi d’accusa, dall’omicidio colposo in concorso e in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro al disastro colposo «per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nell’aver gestito il sito vulcanico » , classificato dalla Commissione Grandi rischi in «zona rossa».
La Procura, che nei mesi scorsi ha potuto avvalersi di una perizia affidata a un pool di sette esperti, ha anche concluso che i sei imputati sapevano dei rischi dell’area, ma non hanno fatto nulla per metterla in sicurezza. Nell’udienza di ieri i sostituti procuratori si sono concentrati sullo smontare la tesi della difesa secondo cui Lorenzo avrebbe scavalcato una catenella di sicurezza per accedere a un’area interdetta e, per questo motivo, la responsabilità della caduta sarebbe stata sua. E’ stato invece ribadito come tutta la zona fosse liberamente accessibile, compreso il cratere fatale. I familiari delle vittime sono assistiti da Studio3A, con gli avvocati Alberto Berardi, del Foro di Padova, e Vincenzo Cortellessa, del Foro di Santa Maria Capua Vetere, e sono già stati risarciti integralmente, ma ora si aspettano che sia fatta giustizia anche sul fronte penale: il sito, ora sotto sequestro, per gli avvocati andrebbe confiscato e la società dovrebbe pagare come pena pecuniaria 172 mila euro.