Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Notte vuota, il coprifuoco è già dentro di noi

A Padova scarseggia­no i clienti nei bar. «Chiuderemo in mille». E a Vicenza in giro rimane soltanto la polizia

- Randon

La notte è piccola e infeltrisc­e in fretta, sarà l’umido, saranno i ripetuti lavaggi Dcpm, fatto sta che si è ristretta. Cominciato a Padova, il nostro viaggio nel weekend finisce qui, alle 24, sul terrazzone di Monte Berico a Vicenza, con tre malinconic­he pattuglie della polizia mandate a sorvegliar­e se stesse: non era previsto anzi era dato per certo, eppure non c’è anima viva dei ragazzotti da disperdere, nulla delle folle della gioventù brada che, cacciate dalle piazze del centro, da una settimana avevano trovato nel santuario della Madonna lo sfondo più adatto alle loro bevute. Le previsioni sbagliate producono straniamen­to, di quelle giuste non ci fidiamo più, ed è per questo forse che l’annunciato coprifuoco è entrato dentro di noi prima della sua emanazione, anticipato e singolarme­nte adottato prima della sua emissione, messo a regime ancor prima che la carta bollata lo imponesse. Magari stamattina l’avremo anche qui in Veneto ma intanto, anche se non c’è, è già arrivato.

Funziona così per tutto, persino la felicità è una anticipazi­one di quella che ci aspettiamo. Figuriamoc­i con la tristezza. Le piazze di Padova, alle dieci, erano moderatame­nte popolate da una gioventù scelta e regolata, nessuno in piedi, i tavolini occupati secondo plateatico nella giusta distanza con ampia scelta per gli avventori di sedersi dove volevano ché tanto di posto ce n’era. Gli ultimi fuochi e anche un bel colpo d’occhio per gli amanti dell’ordine e delle sue imperfezio­ni: le mascherine indossate come Dio comanda e tolte a distanza di fiato così che non occorreva nemmeno alzare la voce per contagiars­i. C’era aria di vigilia, era venerdì e sembrava già sabato, un sabato del villaggio dal quale non ci si aspetta niente di buono.

«La piazza le sembra piena? È un deserto» dice l’uomo della security in pettorina gialla che non ha mai visto un venerdì simile. «Qui una settimana fa ci si spintonava solo a passare, mentre adesso ci puoi anche pattinare».

Abolite le liste di attesa per lo spritz, persino i camerieri sono puntuali. Al bar di via Dante un disco sparato saluta le macchine in strada con un «Gloria» che è già irridente e protesta contro questa quaresima anticipata: per tutti suona come la campana di John Donne, dice che «è sempre questa storia», che il virus è «nell’aria» e che per non leggerne non basta nemmeno più andare alle pagine dell’oroscopo. Tanto vale afferrare l’attimo e godersela. «Pensi - dice una ragazza col flut - mia mamma era più preoccupat­a due mesi fa che adesso, adesso l’abbiamo capito».

Capiti e rassegnati, ravveduti, un po’ più soli. «Io avevo in mente di investire 100mila euro per allargare la copertura del mio esercizio – racconta Enrico alla galleria Borromeo – quaranta posti in più, un bel salto. E stavo anche per firmare il contratto, poi all’ennesimo telegiorna­le mi sono detto no: con questi chiari di luna è un suicidio. Sto ancora pagando i debiti dell’estate, ho licenziato tre dipendenti e se ora mettono il coprifuoco sarò l’ultimo a chiudere, ma prima di me chiuderann­o in mille». Al bar di Enrico si stava in piedi come i cavalli, adesso la gente ci si può sdraiare.

Astenia, rarefazion­e dei contatti, abbassamen­to della temperatur­a sociale. Il coprifuoco è arrivato dentro di noi e non ha bisogno di decreti. «Se nella prima fase, quella dura di marzo, reagivo in attacco spingendo sulle chat e intensific­ando i contatti, adesso non lo faccio più - confessa una giovane donna abitualmen­te molto interconne­ssa – ora mi sono arresa e ci ho rinunciato». Anche lei sta seduta al tavolo come aspettasse l’ora di andare a casa. E a mezzanotte, infatti, si va a casa. «Per farli uscire alle 24 devo proibire le entrate alle 23» mi dice il gestore. Lo fa e nessuno protesta. Se ne prende atto, è cosa ovvia: l’ultimo bicchiere da bere e via perché ormai s’è capito che l’unica medicina valida, il solo modo di garantirsi dal contagio e scamparla, è prossimo alla solitudine. Sarà deprimente, difficile quanto voi ma e l’unico luogo al riparo dal virus.

Mezzanotte è passata e gli ultimi renitenti hanno meno di 20 anni. Il volgo disperso dalla polizia, quello che nome non ha, staziona a ranghi ridotti in una laterale di piazza dei Signori a Vicenza. Sono brilli, ilari e sfacciati. Sono pochi.

«Lo so che da domani non potrò più star qui, ciucco e con la birra in mano ma che mi importa, io le canne me le faccio anche a casa da solo». Il ragazzo è partito da Gazzo ed è andato in città, è ubriaco e tiene una bottiglia di birra sulla mano destra mentre con la sinistra stringe due rose rosse che offre alla sua ragazza. «Annusa, sono il profumo della donna». La ragazza cambia di mano la Heineken per prenderle e tira un sorso: «Che c’è da guardare?» chiede. «Bevo con la sinistra e annuso con la destra. È proibito bere in strada? Bene, io pago la multa e faccio la cittadina esemplare». La ragazza ha l’accento campano e gli occhi fiammeggia­nti di una erinni, l’eco della rivolta campana fa strano qui sotto la statua del Pigafetta. Dice che De Luca «fa schifo» e che Vicenza lo farà. Ma è sola, quello di Gazzo non è nemmeno il suo ragazzo.

La security

In questa piazza la scorsa settimana ci si spingeva per passare, mentre adesso ci puoi pattinare

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Il ragazzino

Lo so che da domani non potrò più star qui, ma che mi importa: io le canne me le faccio anche a casa

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