Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’uomo stanco che passeggia con il cartello «domani chiuso» Lui come tutti noi, ma riapriremo
«Domani chiuso» passa un uomo con un cartello in mano, lo sguardo stanco, le scarpe da ginnastica. Chissà chi è, se ha una famiglia, un amore spento o uno che si è appena ravvivato, in questo nuovo mondo meno affettuoso ma forse più intimo. Forse è un benzinaio, ha una tabaccheria, un bar (che sentimento di solidarietà, di rabbia, in questi giorni, quando si entra in un bar). Forse, quell’uomo gira così per tutta la città, è un banditore medievale, l’uomo-DPCM; chiudiamo, di nuovo, tutti, o quasi tutti.
Forse è solo informazione, o un pizzico di provocazione, o rassegnazione; non può che andare così. Forse è invece già disperazione, perché la situazione è terribile: di nuovo, ripiombare in questa vita che non è vita del tutto, che è attesa di altra vita, il dramma dell’economia, del commercio. Forse vuole dirci che, invece che farsi prendere dal panico, bisognerebbe essere lucidi, agire su quel che serve davvero, i trasporti, la scuola, calcolare (come non è stato fatto) il diverso sudore tra discoteche e librerie.
Forse invece «domani chiuso» è una preghiera; dovevamo già chiudere, siamo in ritardo, non abbiamo capito niente dal primo giro, resettiamo tutto.
È così diversa, questa seconda ondata; della prima, non c’è lo choc, il millenarismo che il mondo finisse, che cambiasse del tutto, che la letalità della malattia fosse spaventosa. Ma è ancora più faticoso, adesso. Ogni giorno, ormai, ce n’è una; vado a cena o no? Quanti giorni devo aspettare per il tampone? Vado a trovare mia mamma?
Ognuno ha un centro analisi di fiducia («nel mio a Piazzale Roma sono tutti carinissimi!», «Nel mio sono molto empatici quando ti infilano il tampone nel naso»).
Su qualcosa, sì, si può ironizzare, ma è tutto diventato scuro da un momento all’altro. In fondo, ognuno ha già cominciato una specie di autolockdown, dopo i mesi (più) belli dell’estate. È prudenza, perché l’allerta va alzata. È anche un po’ di angoscia, a dire il vero. Siamo più forti o più deboli di marzo? Dipende.
È troppo complicato, capirlo. Cambia da persona a persona, da come va la famiglia, il lavoro, il mutuo. Quel che è certo è che la battaglia durerà ancora, in qualche modo almeno fino alla prossima primavera. Sì, tornerà la vita piena, però, quella in cui si può dare un passaggio in macchina e stringere una mano, e prendere un volo per il weekend, la vita vera.
Ci vorrà del tempo. Anche perché al di là di qualche responsabilità politica, e troppe incoscienze individuali, questo è veramente un male subdolo, per noi che viviamo così, a Occidente, se nessun Paese, la ligia Germania e i prepotenti Stati Uniti, riescono a fermarlo. Se riescono a fermarlo (forse) solo Paesi dove nessuna persona sana di mente desidererebbe vivere (salvo la Nuova Zelanda).
Democrazia contro malattia, libertà contro Covid-19. Come sempre, è un tema di responsabilità. Adesso, di nuovo, bisogna solo combattere, stringere ancora i denti. In fondo, tutti siamo come l’uomo con il cartello in mano. Domani siamo chiusi, che ce lo impongano o che lo scegliamo.
Dopodomani, però, riapriremo tutto.