Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

L’uomo stanco che passeggia con il cartello «domani chiuso» Lui come tutti noi, ma riapriremo

- di Giovanni Montanaro

«Domani chiuso» passa un uomo con un cartello in mano, lo sguardo stanco, le scarpe da ginnastica. Chissà chi è, se ha una famiglia, un amore spento o uno che si è appena ravvivato, in questo nuovo mondo meno affettuoso ma forse più intimo. Forse è un benzinaio, ha una tabaccheri­a, un bar (che sentimento di solidariet­à, di rabbia, in questi giorni, quando si entra in un bar). Forse, quell’uomo gira così per tutta la città, è un banditore medievale, l’uomo-DPCM; chiudiamo, di nuovo, tutti, o quasi tutti.

Forse è solo informazio­ne, o un pizzico di provocazio­ne, o rassegnazi­one; non può che andare così. Forse è invece già disperazio­ne, perché la situazione è terribile: di nuovo, ripiombare in questa vita che non è vita del tutto, che è attesa di altra vita, il dramma dell’economia, del commercio. Forse vuole dirci che, invece che farsi prendere dal panico, bisognereb­be essere lucidi, agire su quel che serve davvero, i trasporti, la scuola, calcolare (come non è stato fatto) il diverso sudore tra discoteche e librerie.

Forse invece «domani chiuso» è una preghiera; dovevamo già chiudere, siamo in ritardo, non abbiamo capito niente dal primo giro, resettiamo tutto.

È così diversa, questa seconda ondata; della prima, non c’è lo choc, il millenaris­mo che il mondo finisse, che cambiasse del tutto, che la letalità della malattia fosse spaventosa. Ma è ancora più faticoso, adesso. Ogni giorno, ormai, ce n’è una; vado a cena o no? Quanti giorni devo aspettare per il tampone? Vado a trovare mia mamma?

Ognuno ha un centro analisi di fiducia («nel mio a Piazzale Roma sono tutti carinissim­i!», «Nel mio sono molto empatici quando ti infilano il tampone nel naso»).

Su qualcosa, sì, si può ironizzare, ma è tutto diventato scuro da un momento all’altro. In fondo, ognuno ha già cominciato una specie di autolockdo­wn, dopo i mesi (più) belli dell’estate. È prudenza, perché l’allerta va alzata. È anche un po’ di angoscia, a dire il vero. Siamo più forti o più deboli di marzo? Dipende.

È troppo complicato, capirlo. Cambia da persona a persona, da come va la famiglia, il lavoro, il mutuo. Quel che è certo è che la battaglia durerà ancora, in qualche modo almeno fino alla prossima primavera. Sì, tornerà la vita piena, però, quella in cui si può dare un passaggio in macchina e stringere una mano, e prendere un volo per il weekend, la vita vera.

Ci vorrà del tempo. Anche perché al di là di qualche responsabi­lità politica, e troppe incoscienz­e individual­i, questo è veramente un male subdolo, per noi che viviamo così, a Occidente, se nessun Paese, la ligia Germania e i prepotenti Stati Uniti, riescono a fermarlo. Se riescono a fermarlo (forse) solo Paesi dove nessuna persona sana di mente desiderere­bbe vivere (salvo la Nuova Zelanda).

Democrazia contro malattia, libertà contro Covid-19. Come sempre, è un tema di responsabi­lità. Adesso, di nuovo, bisogna solo combattere, stringere ancora i denti. In fondo, tutti siamo come l’uomo con il cartello in mano. Domani siamo chiusi, che ce lo impongano o che lo scegliamo.

Dopodomani, però, riapriremo tutto.

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