Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Messiaen, la musica del dolore: parole e immagini
«Görlitz. 15 gennaio 1941»: l’esperienza di Messiaen in campo di concentramento
Di che materia è fatta la musica, se al disperdersi dell’estrema vibrazione dell’ultima nota della sia pure più sublime delle composizioni, non resta che la traccia psichica dell’emozione, ma nulla di concreto, neanche il pulviscolo di tutta quella meraviglia? Eppure, ci perdonino i fisici, è proprio quella «antimateria», quella evanescente, fantasmatica concatenazione di onde sonore che riesce, in situazioni estreme, a restituire spirito alla carne, accendere la gioia nel dolore, infondere dignità ai vinti. È di un eccelso esempio di questa musica che si celebrano gli ottant’anni con un libro d’artista, in questo esordio desolato di anno, ricordando il 15 gennaio del 1941 a Görlizt, in Slesia, ai confini con la Polonia, nel campo di prigionia Stalag VIII-A dove il musicista Olivier Messiaen, soldato francese, era detenuto da sette mesi. Il comandante del campo, Karl Brüll, ingegnere nella vita civile, procurò legna per scaldare le mani dei musicisti, carta e matite per Messiaen che compose là, nella latrina della sua baracca, unico luogo dove trovava un po’ di isolamento e concentrazione, una delle più rarefatte e ispirate composizioni del Novecento: « Quatuor pour la fin du Temps – Quartetto per la fine del Tempo, per violino, violoncello, clarinetto e pianoforte».
A questo prodigioso frutto, maturato nella estrema condizione fisica e morale, è dedicato Görlitz. 15 gennaio
1941 un libro d’artista, una delle perfette combinazioni tra idea e realizzazione delle Edizioni d’arte Colophon di Belluno: quattro disegni originali di Mimmo Paladino (acquaforte, acquatinta, litografia e collage), un testo del musicologo Sandro Cappelletto e una riflessione di Liliana Segre, accompagnati da un CD con l’incisione del Quartetto realizzata in collaborazione con l’Accademia Perosi di Biella (solisti: Davide Teodoro clarinetto, Carlo Lazari violino, Carlo Teodoro violoncello, Aldo Orvieto pianoforte).
L’organico degli strumentinota Cappelletto- è estremamente inconsueto, ma Messiaen usa quel che ha a disposizione: nel campo, infatti, tre compagni di prigionia sono musicisti, due professionisti e uno amatore: Henri Akoka clarinetto, Etienne Pasquier violoncello, Jean le Boulaire violino. Per loro e con loro, Messiaen al pianoforte ( un vecchio piano verticale con alcuni tasti quasi inservibili), il miracolo della musica che cancella la fame, il gelo, le umiliazioni, l’orrore della guerra e disegna un Tempo nuovo.
Il compositore francese allora aveva trentadue anni e al momento della esecuzione nel campo di prigionia – non ancora di sterminio – i prigionieri erano circa trentamila: fecero una colletta per poter acquistare un modesto violoncello, un segno di riscatto collettivo, come fu poi evidente, dopo la leggendaria esecuzione nella baracca-teatro del campo di Görlizt, a quindici gradi sotto zero, quando lo spirito era stato infiammato dalla musica. Messiaen, di profonda fede cristiana, per il Quartetto per la fine del Tempo si ispira all’Apocalisse di Giovanni per «sentirmi vivo», come scrisse più tardi, crea una musica che segna la via della rinascita, sull’orlo del tempo, sul limite dell’abisso; scriverà che il libro dell’Apocalisse «contiene luci meravigliose, seguite da silenzi solenni». E quei silenzi entrano nella composizione come la pulsazione dell’eternità «infinitamente lenta» del quinto e ottavo movimento. Chiarisce Cappelletto: «Placato il furore delle sette trombe.. L’angelo che annuncia la fine del tempo: il suo mistero non si può rappresentare, non si può vedere. È un mistero che chiama la musica, il segno sublime della nostra transitorietà, della nostra speranza».
Nella sua testimonianza, in un excursus sull’uso della musica nei campi di concentramento la senatrice Liliana Segre sottolinea «il senso autentico della musica, dell’arte, della cultura come vertici della libertà e della creatività umana. Antiveleno contro tutte le subculture della Morte e della Violenza».