Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
COME SARÀ IL DOPO
Tutti desideriamo uscire dalla maledizione Covid. Domanda: come vogliamo il dopo? Uguale a prima? Fosse questa la risposta di massa, frutto di istintiva nostalgia, significherebbe che non abbiamo capito niente e che la pandemia non ha fatto scuola. Sarà stata una sofferenza sterile. Una penitenza pro-forma. Nel dopo virus che verrà, tornare a fare come se niente fosse avvenuto, si rivelerebbe esiziale illusione, non soltanto spreco di una storica chance evolutiva. Ai fan del ritorno al passato è consigliabile un bagno di realismo. Inutile abbandonarsi al mito del Bengodi economico ritrovato. Nell’anno post crisi (difficile fissare l’ora X della ripartenza) non sarà «tre volte Natale» e non faremo «festa tutto il giorno». Sarebbe irragionevole pensarlo e autolesionistico praticarlo. L’ottimismo va assorbito da un altro verso di Lucio Dalla: «Ma la televisione ha detto che il nuovo anno/ porterà una trasformazione/ E tutti quanti stiamo già aspettando». Proprio così, è cominciata l’attesa collettiva. Al riaprire per non morire, preferisco porte aperte per vivere. Ma senza stordimenti euforici da eccesso d’ossigeno, dopo tanti lutti per assenza d’aria.
Ipiccoli passi fuori dal virus devono portare a un grande passo avanti per il vivere quotidiano. Per trasformarlo in un produttivo cammino, occorre avere chiaro in testa il traguardo da raggiungere. Nelle aperture c’è un rischio calcolato. Alcuni pesi sono sopportabili ma la ricaduta in chiusure obbligate sarebbe una Waterloo. La responsabilità della navigazione pesa sulle spalle di chi sta al vertice della piramide. Può confortarci l’idea di essere guidati da un comandante titolato ed ha valenza simbolica una divisa che distribuisce ordini operativi.
Ma non tutto cala gratis dall’alto: una straordinaria opportunità di cittadinanza attiva è nelle mani di tutti noi. Il post virus sarà migliore se saremo tutti molto migliori. In modo ricorrente ci lamentiamo dei governanti, fino ad accusarli di tutti i mali. Adesso abbiamo l’occasione di dimostrare che davvero siamo meglio dei politici, perché più devoti all’interesse comune. Il modo è sintetizzabile in un gesto simbolico: cominciamo ad attraversare la strada solo quando il semaforo è verde. L’inizio della rivoluzione socioeducativa: verde, guarda caso. Non si tratta di sottostare alle regole, ma di usarle per convenienza collettiva. Non sarebbe necessario il coprifuoco senza il bastian contrario della mascherina. Né multe e raid contro gli assembramenti, se evaporasse la tentazione diventare un gregge (il contrario dell’immunità). Occorre scegliere un porto sicuro, garantito da leggi e regolamenti sottoposti a dibattito anche aspro, ma soltanto prima dell’approvazione. Perché sbraitare dopo, senza un minuto di tregua, è esercizio da agitatori sociali. La politica faccia (meglio) il suo mestiere. Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza chi governa ha l’occasione di passare alla storia. Come un ritrovato De Gasperi. A chi è governato (noi), quella di realizzarlo: come nel dopoguerra. Per dare il nuovo segno civiltà, sogno una riforma urgente a costo zero: stop all’anonimato sui social. L’odio senza volto è ancor più vigliacco e intollerabile. Stiamo inseguendo il ritorno al piacere di vederci in faccia. Assurdo mantenere la maschera virtuale che nasconde quella dei diffusori di veleno sociale.