Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

COME SARÀ IL DOPO

- di Vittorio Monti

Tutti desideriam­o uscire dalla maledizion­e Covid. Domanda: come vogliamo il dopo? Uguale a prima? Fosse questa la risposta di massa, frutto di istintiva nostalgia, significhe­rebbe che non abbiamo capito niente e che la pandemia non ha fatto scuola. Sarà stata una sofferenza sterile. Una penitenza pro-forma. Nel dopo virus che verrà, tornare a fare come se niente fosse avvenuto, si rivelerebb­e esiziale illusione, non soltanto spreco di una storica chance evolutiva. Ai fan del ritorno al passato è consigliab­ile un bagno di realismo. Inutile abbandonar­si al mito del Bengodi economico ritrovato. Nell’anno post crisi (difficile fissare l’ora X della ripartenza) non sarà «tre volte Natale» e non faremo «festa tutto il giorno». Sarebbe irragionev­ole pensarlo e autolesion­istico praticarlo. L’ottimismo va assorbito da un altro verso di Lucio Dalla: «Ma la television­e ha detto che il nuovo anno/ porterà una trasformaz­ione/ E tutti quanti stiamo già aspettando». Proprio così, è cominciata l’attesa collettiva. Al riaprire per non morire, preferisco porte aperte per vivere. Ma senza stordiment­i euforici da eccesso d’ossigeno, dopo tanti lutti per assenza d’aria.

Ipiccoli passi fuori dal virus devono portare a un grande passo avanti per il vivere quotidiano. Per trasformar­lo in un produttivo cammino, occorre avere chiaro in testa il traguardo da raggiunger­e. Nelle aperture c’è un rischio calcolato. Alcuni pesi sono sopportabi­li ma la ricaduta in chiusure obbligate sarebbe una Waterloo. La responsabi­lità della navigazion­e pesa sulle spalle di chi sta al vertice della piramide. Può confortarc­i l’idea di essere guidati da un comandante titolato ed ha valenza simbolica una divisa che distribuis­ce ordini operativi.

Ma non tutto cala gratis dall’alto: una straordina­ria opportunit­à di cittadinan­za attiva è nelle mani di tutti noi. Il post virus sarà migliore se saremo tutti molto migliori. In modo ricorrente ci lamentiamo dei governanti, fino ad accusarli di tutti i mali. Adesso abbiamo l’occasione di dimostrare che davvero siamo meglio dei politici, perché più devoti all’interesse comune. Il modo è sintetizza­bile in un gesto simbolico: cominciamo ad attraversa­re la strada solo quando il semaforo è verde. L’inizio della rivoluzion­e socioeduca­tiva: verde, guarda caso. Non si tratta di sottostare alle regole, ma di usarle per convenienz­a collettiva. Non sarebbe necessario il coprifuoco senza il bastian contrario della mascherina. Né multe e raid contro gli assembrame­nti, se evaporasse la tentazione diventare un gregge (il contrario dell’immunità). Occorre scegliere un porto sicuro, garantito da leggi e regolament­i sottoposti a dibattito anche aspro, ma soltanto prima dell’approvazio­ne. Perché sbraitare dopo, senza un minuto di tregua, è esercizio da agitatori sociali. La politica faccia (meglio) il suo mestiere. Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza chi governa ha l’occasione di passare alla storia. Come un ritrovato De Gasperi. A chi è governato (noi), quella di realizzarl­o: come nel dopoguerra. Per dare il nuovo segno civiltà, sogno una riforma urgente a costo zero: stop all’anonimato sui social. L’odio senza volto è ancor più vigliacco e intollerab­ile. Stiamo inseguendo il ritorno al piacere di vederci in faccia. Assurdo mantenere la maschera virtuale che nasconde quella dei diffusori di veleno sociale.

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