Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Letto matrimoniale trappola: si chiude e uccide una donna
Venezia, strano incidente domestico: disposta l’autopsia. Trovata esanime dalla figlia
VENEZIA È morta nella sua camera, forse vittima del meccanismo di sollevamento del letto « a contenitore » , che l’avrebbe intrappolata e soffocata.
Roberta Romano, 55 anni, è rimasta uccisa domenica sera, nella sua casa di Santa Marta, nel centro storico di Venezia. La donna, agente di polizia penitenziaria in forza prima al carcere femminile lagunare della Giudecca, poi alla casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore – sempre a Venezia – viveva sola con la figlia che, al momento della tragedia, era fuori casa. Quando è rientrata, poco prima delle 21.30, non ha sentito la risposta della madre al suo saluto e si è messa a cercarla; l’ha trovata immediatamente, a terra, ormai senza vita, in camera da letto.
Subito è scattata la telefonata al 118 e i sanitari del pronto intervento sono arrivati nell’appartamento in pochi minuti ma non hanno potuto fare altro che confermare il decesso e, di conseguenza, avvisare i carabinieri della tragedia. I militari dell’Arma, dal nucleo natanti e dalla compagnia di Venezia, si sono presentati poco dopo, per cercare di chiarire la vicenda, dai contorni ancora sfocati: la 55enne sarebbe rimasta uccisa perché soffocata dal suo letto, una struttura che offre la possibilità di sollevare rete e materasso con un sistema a ribalta per utilizzare come scomparto – normalmente sfruttato per coperte e lenzuola – lo spazio sottostante; non è chiaro cosa sia successo, forse la donna si è infilata sotto a prendere qualcosa e il letto si è chiuso sopra di lei, magari colpendola e togliendole il fiato.
Un incidente domestico fatale, almeno nell’ipotesi che ieri era sul tavolo della procudi ra veneziana.
La pm di turno, la dottoressa Laura Villan, avrebbe già disposto l’autopsia sul corpo della 55enne, in modo da chiarire la causa esatta della morte che, al momento, è indicata solo come soffocamento. Non ci sarebbero neppure elementi che, in questa fase, lascino supporre l’intervento una seconda persona, sul corpo non ci sarebbero stati segni di lotta, così come in casa, ma anche questo potrebbe cambiare in seguito alla relazione del medico legale, che potrebbe scoprire qualcosa non immediatamente visibile.
Ieri, sulla porta dell’appartamento di Santa Marta – una casa di edilizia popolare, a breve distanza dal carcere dove la donna lavorava – si vedevano i sigilli dell’autorità giudiziaria, evidentemente intenzionata anche a verificare che in casa non ci fossero altri elementi utili a fare luce sulla vicenda (a cominciare, con ogni probabilità, proprio dal meccanismo del letto a contenitore che potrebbe aver avuto un malfunzionamento o una rottura vera e propria).
Roberta Romano era un volto conosciuto all’interno delle carceri veneziane, in cui aveva lavorato per anni; dopo il trasferimento dalla casa circondariale femminile a quella maschile aveva anche cambiato ruolo, spostandosi più verso l’area amministrativa e lasciando in parte la sorveglianza delle celle.
La figlia, nata da una precedente relazione con un collega, era diventata la sua vita. Sarà probabilmente ascoltata di nuovo dalle autorità, perché possa aiutare a fugare ogni dubbio. Ma ieri era troppo sconvolta per parlare.