Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

I passi di una rapsodia

- Di Francesco Chiamulera

P er molti è un’autonoma inclinazio­ne, scaturita da un’irrequiete­zza che non si sospettava.

Per altri è il contagio di un amico, di una compagnia, di una tribù digitale che prende la forma del gruppo WhatsApp, della cerchia di amici su Strava o Runkeeper. Comunque sia, in questi mesi di pandemia ancora più persone si sono messe a camminare e a correre. Il confinamen­to ha agito un po’ come fa la prigione sugli intellettu­ali incarcerat­i dai dittatori: invece che zittirsi, scrivono e pensano la libertà. Si comincia con qualche chilometro al giorno, sottovoce, senza farne niente di epico, la prudenza impone silenzio e discrezion­e. Intanto però si comincia a consumare le suole. Qualcosa accade nel corpo e nella mente. Qualche parentesi inevitabil­e: le zone rosse, la neve per chi abita nelle Dolomiti, le settimane di pioggia e vento in pianura. Si continua, ogni giorno o quasi, con le stagioni che passano sopra e intorno a sé nella loro basica raffiguraz­ione. Una rapsodia a passo regolare, non un’escursione, non una meditazion­e, comunque più interiore che ambientale, più individual­e che sociale, più ossessiva che distesa, insostitui­bili gli AirPod, con musica o radio o podcast o telefonate o audiolibri. Ogni passeggiat­a una variazione sul tema, un diversivo allegro su circuiti noti. Poi alcuni passano alla corsa. Ma quanti sono, viene da chiedersi guardandol­i sciamare nella primavera che è cominciata, in ogni angolo praticabil­e. Domenica i runner tagliavano il traguardo della mezza maratona di Trieste, a giugno ripartono la Giulietta e Romeo, la Jesolo Moonlight e poi l’epica Lavaredo Ultra Trail. Rinviate all’autunno le maratone di Venezia e di Padova, la Cortina Dobbiaco Run, e così via. A elencarle si corre il rischio di un inventario, il numero è esploso in questi vent’anni. Che cosa dunque accade, a far scatenare in così tanti le endorfine, «quella strana droga autoprodot­ta», scrive Mauro Covacich in «Sulla corsa» (La nave di Teseo)? «La corsa assomiglia più a un’arte marziale che a uno sport. Chi la ama compie una scelta estetica, accede a una disciplina interiore che c’entra pochissimo con l’attività sportiva». Covacich ricorda i fondamenta­li: la corsa (quella seria, non la corsetta sotto casa) non fa bene; è un’avventura interiore che sta da qualche parte tra la fuga, la ricerca e la guerra; è un’invasione dell’esterno nel corpo, quasi una piccola morte; è un’ascesi laica; infine non è solo una dipendenza chimica, ma anche una questione di usanze, possiamo dirlo?, di mode. Le stesse che fanno sì che uomini «che un tempo sarebbero andati a pesca con gli amici», ogni anno (salvo Covid) prendano un aereo e vadano alla maratona di New York. O corrano i pazzeschi 120 chilometri delle Dolomiti. Sotto le fresche stelle estive della Val Travenanze­s.

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