Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Assolto per il caporalato, non era ancora un reato
VENEZIA Una condanna e un’assoluzione, perché all’epoca dei fatti il reato di caporalato non esisteva ancora, introdotto solo dalla legge del 2016.
Ieri il tribunale si è espresso sulla vicenda che vedeva al centro l’imprenditore originario del Bangladesh Mohammed Alì, che in anni passati ha anche ricoperto ruoli di spicco all’interno della comunità bengalese mestrina: a lui erano riconducibili le società Sonda e Bensaldo, impegnati negli appalti all’interno dello stabilimento di Porto Marghera e accusate di aver sfruttato i lavoratori secondo il modello della «paga globale», quello che prevede uno stipendio calcolato sulla base delle ore lavorate – sette, sei, a volte meno di cinque euro l’ora – senza ferie, straordinari, malattia, tredicesima o Tfr. L’inchiesta era partita dopo le dichiarazioni del commercialista Angelo Di
Corrado, finito davanti al pm Roberto Terzo nell’ambito dell’inchiesta sui Casalesi di Eraclea, ma che seguiva anche molte delle imprese poi indagate in Fincantieri. Nel suo racconto il consulente parlava di un monte ore mensile che veniva aggiustato al ribasso: chi arrivava a 230, 260 ore di lavoro se ne vedeva conteggiate e pagate comunque poco più di un centinaio. Ad aggravare la cosa, la situazione personale di fragilità dei dipendenti, in gran parte stranieri e costretti ad accettare qualsiasi condizione pur di non perdere il permesso di soggiorno. Ma negli anni al centro dell’inchiesta – dal 2004 al 2011 – il reato di caporalato non era ancora presente nel Codice penale e quindi ieri il tribunale veneziano ha dovuto assolvere l’imprenditore proprio perché il fatto non era previsto. Una decisione che gli avvocati di Mohammed Alì, Valter Duse e Alessandro
Condanna
Mohamed Alì è stato condannato però per il reato di estorsione: aveva minacciato operai per evitare denunce e richieste sindacali
Compagno, giudicano storica visto che rappresenterebbe il primo caso di assoluzione in un procedimento di questo tipo. Ricorreranno comunque alla corte di Cassazione per il secondo capo d’imputazione, che invece ha visto Alì condannato a due anni di reclusione, pena sospesa condizionata al pagamento dei risarcimenti, 6.500 euro per ciascuno dei danneggiati, più 3.500 euro alla sigla sindacale Slai Prol Cobas, a sua volta costituitasi parte civile. Il secondo capo d’imputazione era relativo a un’estorsione compiuta da Alì con l’aiuto di una decina di altre persone, presentatesi tutte assieme alla porta di sei operai per convincerli – con ogni mezzo – ad abbandonare ogni proposito di denuncia o di vertenza sindacale.