Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Cattolica, richiesta d’archiviazione per l’inchiesta sui voti assembleari
La procura chiude le indagini sulle riunioni 2019 e 2020: «Non c’è prova di responsabilità penale»
VERONA «Non è stata riscontrata prova di responsabilità penale». Così la Procura di Verona annuncia di aver chiuso l’inchiesta su Cattolica Assicurazioni con una richiesta di archiviazione nei confronti di tutti e 11 gli indagati, a partire dal presidente Paolo Bedoni, dal direttore generale Carlo Ferraresi e dal consigliere segretario del cda, Alessandro Lai. Cade dunque il sospetto di «illecita influenza sull’assemblea»: questo il reato contestato agli indagati nell’ambito dell’inchiesta condotta dal pubblico ministero scaligero Alberto Sergi con la supervisione del procuratore di Verona Angela Barbaglio.
Un’accusa che si configura quando la raccolta dei voti e delle deleghe non avviene in modo corretto.Il caso, infatti, verteva su tre riunioni dei soci avvenute ad aprile 2019, quando era ancora alla guida come amministratore delegato Alberto Minali, a giugno 2020 e il 31 luglio 2020, quando era stata approvata la fine della forma cooperativa che resisteva da oltre 100 anni e la trasformazione di Cattolica in Spa. Gli accertamenti, che seguivano l’acquisizione di documenti già effettuata nel dicembre 2019, erano scattati su mandato della Procura scaligera e in seguito ad accertamenti ispettivi della Consob, suscitando un polverone: proprio il 31 luglio 2020, al termine della riunione che aveva dato il via libera alla trasformazione in spa, la Finanza si presentò infatti nella sede di Cattolica per acquisire una serie di documenti e notificare i primi tre avvisi di garanzia tra cui al presidente del cda Paolo Bedoni. Immediata la presa di posizione del gruppo assicurativo, che ribadiva la «assoluta correttezza e regolarità delle operazioni assembleari oggetto dell’indagine», specificando che le due riunioni svolte nel 2020 «sono avvenute con l’intervento di un rappresentante designato indipendente, Computershare Spa, e quindi attraverso meccanismi di raccolta e di voto soltanto informatici e senza il coinvolgimento della società e di sue strutture, donde l’impossibilità per queste di intervenire o incidere sul voto espresso dai soci». La società inoltre aveva chiarito che «le delibere assunte nell’assemblea del 31 luglio 2020 sono valide a tutti gli effetti» e che « l’operazione con Generali proseguirà come previsto».
Nel frattempo, la Procura scaligera aveva deciso di disporre una consulenza informatica per accertare eventuali procedure di voto «sospette» e meccanismi di delega «anomali» durante le tre assemblee di Cattolica finite al centro dell’indagine: le votazioni sotto esame, infatti, erano avvenute attraverso una piattaforma digitale. «Alla luce della circostanziata segnalazione giunta dalla Consob, abbiamo incaricato la Finanza di eseguire una serie di acquisizioni di atti- intervenne il procuratore Barbaglio -. Abbiamo agito in modo discreto ma necessariamente tempestivo, viste l’importanza e la delicatezza della vicenda». Oltre ai vertici del gruppo, vennero raggiunti dagli avvisi di garanzia altri 8 soggetti: «Appartengono in parte al cda, anche se non tutti coloro che ne fanno parte risultano indagati, e in parte rappresentano altre figure ai vertici», specificò il procuratore aggiunto, Bruno Francesco Bruni. L’ipotesi vagliata dagli inquirenti era «l’artificiosa formazione di maggioranze assembleari, nel caso specifico il sospetto era che potessero essere state conferite deleghe in bianco. Non intendiamo intralciare gli andamenti e i riassetti societari, ma fare chiarezza è nostro dovere». Dopo mesi di indagini e approfondimenti, la conclusione tratta dalla Procura è che «non sono stati comprovati rilievi di tipo penale». Accuse e sospetti,dunque, finiscono in un cassetto.