Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Vinta la Champions SANTARELLI mi sono detto: e adesso che faccio?»

Santarelli allena l’Imoco e non perde da 64 partite di fila: dopo un’annata senza sconfitte ha alzato tutti i trofei in Italia e in Europa. «Mi vedo ancora a Conegliano, per confermarc­i»

- Di Matteo Valente

È arrivato a Conegliano nell’estate del 2015. Vice allenatore di Davide Mazzanti, con cui aveva appena vinto lo scudetto a Casalmaggi­ore. Cinque anni dopo, Daniele Santarelli, 39 anni di Foligno, è l’allenatore più forte d’Europa. Imbattuto da 64 gare (contando anche il 2020), in Italia e in Champions League, ha guidato l’Imoco al grande Slam che ha permesso alle Pantere di vincere Supercoppa, Coppa Italia, Scudetto e la tanto attesa Champions. Dalla sua promozione a capo allenatore nel 2017, Santarelli ha vinto 3 scudetti, 2 Coppe Italia, 3 Supercoppe italiane, 1 Mondiale per Club e la Champions League.

Santarelli, si è già chiesto, cosa farà l’anno prossimo dopo aver vinto tutto il vincibile? Cos’altro può chiedere a sé stesso e alla squadra?

«Sì, appena è caduto l’ultimo pallone. Ho rincorso questa Champions per due anni. All’inizio di ogni stagione me lo sono chiesto quando succedi deva qualcosa. L’altro giorno a Verona mi sono chiesto: “E adesso?”. Adesso intanto vado in Croazia dove mi attende l’estate con la Nazionale, ma sto già pensando al futuro con Conegliano e a provare a stare al vertice con questa società».

Quali sono i sentimenti che sta provando adesso?

«Sono sereno e felice, perché ho tolto quel peso che mi dava fastidio. Anche se ammetto che non sono ancora riuscito a godermi questa vittoria: ho ricevuto tantissimi attestati di stima, non ho un secondo libero, cosa che non era successa nemmeno l’anno scorso con la vittoria del Mondiale. Certamente non sono riuscito a gustarmi quello che abbiamo fatto a pieno, al momento penso che forse ho festeggiat­o di più il mio primo scudetto da allenatore. Probabilme­nte me ne renderò conto tra qualche giorno».

Come ha vissuto l’uomo Daniele questa incredibil­e stagione?

«È stata una stagione tanto difficile, che ha richiesto moltissimi sacrifici. In pratica non sono quasi mai uscito di casa, facendo soltanto il tragitto fino alla palestra. Ho portato dentro di me il peso della scorsa stagione interrotta sul più bello, con la consapevol­ezza che quest’anno le attese erano più alte e volevo riuscire a portare entusiasmo e trofei a questa società che ha sempre creduto in me».

E che finalmente lei ha portato sul tetto d’Europa…

«Erano due anni che vivevo con l’idea della Champions, riuscire a regalare a Conegliano un trofeo così tanto desiderato. Ho fatto crescere in me per due anni questa pressione, senza che nessuno me ne desse, è stata una cosa che avevo dentro. E volevo farlo anche per queste giocatrici incredibil­i, che sono state nove mesi chiuse in casa».

Com’è allenare una squadra di campioness­e come Egonu e Wolosz?

«Ho un ruolo che m’imporrebbe di essere distaccato emotivamen­te. Ma io non sono così, vivo di rapporti umani veri e di sincerità. Quindi non riesco a essere distaccato con loro. Per me non sono delle semplici giocatrici, sono ragazze che sono cresciute con me e la squadra, e assieme abbiamo qualcosa che va oltre il rapporto allenatore­giocatrice. Poi è evidente che quando ci sono dei momenti in cui deve uscire l’allenatore, riesco a fare il distaccato, ma al tempo stesso so che ogni singolo abbraccio a fine partita non è di circostanz­a, con nessuna delle mie atlete».

Tanto meno quando una di queste è la moglie e pilastro della squadra?

« Con Moni ( Monica De Gennaro, ndr) ci confrontia­mo tantissimo sui nostri ruoli e ci aiutiamo a vicenda. Lei è cresciuta con questa società, può capire meglio di tutti il valore di questa vittoria, avendo passato tutti i momenti, felici e meno, che l’hanno anticipata. Lei ed io ci sentiamo parte di questo progetto: Conegliano è casa nostra, qui ci stiamo bene e abbiamo uno stimolo ulteriore a dare il massimo quando vivi in questo tipo di realtà».

Come ha preparato la finale di Verona con il Vakif?

«Volevo questa coppa, perché nel mio primo anno con Mazzanti abbiamo perso in finale, l’anno dopo abbiamo perso la semifinale con il Vakif, poi c’è stata la sconfitta di Berlino con Novara e l’anno scorso lo stop in semifinale causa Covid. Sapevo però una cosa: che avremo affrontato il Vakifbank in finale, con loro avevo un conto aperto e così l’ho studiato per due anni, tra una partita e l’altra, anche quando non c’era bisogno. Ero poi certo che avremmo giocato una partita incredibil­mente lunga, tanto che avevo detto a Guidetti (l’allenatore del Vakifbank, ndr) che sarebbe finita al tiebreak, e così è stato».

E ora cosa può riservarle il futuro? Farà un pensierino alla panchina azzurra?

«Ora mi vedo a Conegliano e non ho motivi per vedermi lontano da qui, per mille motivi, ma anche per il rapporto umano che si è creato con ogni singola persona più di ogni cosa. Adesso non posso immaginarm­i su una panchina diversa da quella di Conegliano. Poi il futuro potrà riservare delle sorprese, ma non riesco davvero a immaginarl­o».

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Sono sereno e felice, è come togliersi un peso ma non ho ancora gustato questo trionfo Abbiamo fatto tanti sacrifici, questa coppa era un’idea fissa e mia moglie lo sa bene...

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Daniele Santarelli con la moglie Monica De Gennaro dopo la vittoria in Champions conquistat­a sabato a Verona
Il bacio Daniele Santarelli con la moglie Monica De Gennaro dopo la vittoria in Champions conquistat­a sabato a Verona

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