Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Enigma Napoleone Nuovo Attila o modernizzatore
Con Venezia si è comportato da Attila, ma il destino della città era segnato
Non ci sarà mai pace tra Napoleone e i veneziani, ma i venti milioni di turisti che ogni anno celebrano il mito moderno di Venezia sono dei liberi citoyens grazie a Napoleone. Cosmopoliti, a Venezia, lo si era già, ma si sarebbe potuto vivere soli dopo la Rivoluzione francese? Venezia, schiacciata tra i due maggiori eserciti (francese e austriaco) pagò più di tutti l’avvento di un mondo di cittadini uguali. «Sarò un Attila per lo Stato veneto», aveva dichiarato Napoleone a Graz ai deputati Francesco Donà e Leonardo Zustinian il 25 aprile. E lo fu. La dichiarazione di guerra del primo maggio 1797 si concluse con un «Comanda ai generali di far atterrare in tutte le città della Terraferma il Leone di San Marco». Da allora non si poté più urlare « Viva San Marco » pena la morte e i veneziani che protestarono a Rialto furono massacrati. Dopo il fatidico 12 maggio 1797, il 4 giugno in piazza San Marco fu innalzato l’Albero della Libertà e stracciato il gonfalone della Repubblica e mentre venivano presentati i «Diritti dell’uomo e del cittadino» fu arso il libro d’oro della nobiltà. I veneti si accorsero della «svendita della patria» il 17 ottobre 1797 con il Trattato di Campoformio: al terrore seguì il saccheggio. Il tesoro di San Marco fu liquefatto per pagare i soldati, la Zecca svuotata, fatto a pezzi il Bucintoro. L’oro delle decorazioni strappato e fuso sull’isola di San Giorgio, i cavalli bronzei della basilica trasportati a Parigi, tagliate in otto parti le Nozze di Cana di Veronese del refettorio di San Giorgio, soppressi gli ordini religiosi, saccheggiate una settantina di chiese con opere di Tintoretto, Bellini e Tiepolo.
Si narra che la colonna di opere d’arte trafugate che mosse per Parigi fosse lunga venti chilometri e un calcolo sommario enumera in trentamila le opere sottratte. Nel 1805, con la sconfitta dell’Austria a Austerlitz il Veneto tornò a Napoleone divenendo parte del Regno d’Italia. Finiti gli anni del saccheggio iniziarono quelli dell’umiliazione. Il dazio sulla macina, quello sul sale, le gabelle, la coscrizione obbligatoria che spedì giovani veneti in Russia.
In Veneto iniziarono le insorgenze contro il Regno «napoleonico», come quelle a Crespino e nel Polesine. Nel 1815, dopo la sconfitta dell’uom fatale, Antonio Canova, che aveva scolpito Napoleone, fu inviato a Parigi per farsi restituire molti beni sottratti all’Italia.
Napoleone, qui, fu Attila, ma Venezia fu impreparata all’urto del nuovo mondo. Lo si nota dal confronto con le altre città d’Italia. Oggi, a Milano, Brera celebra il generale corso con la mostra «La Milano di Napoleone: un laboratorio di idee rivoluzionarie. 17961821»: a Milano, Napoleone è ritenuto dai più l’espressione perfetta dell’Illuminismo, colui che sviluppò Brera, regolamenti, scuole. Il Comune di Firenze ha presentato ieri il portale «Napoleone 2021» dove si dà voce alle celebrazioni di colui che fece progettare una Belle ville utopica realizzata in parte dai successori…
Venezia, dove il nome di Napoleone resta bandito, a 200 anni dalla morte del «devastatore» è diventata una Venere anadiomene che emerge dalle acque per offrirsi al turismo di massa o ben locupletato. La prima città globale della storia, la prima citta-rete, cosmopolita, colta, commerciale si offre allo sguardo estasiato dai ponti delle grandi navi che non sono fregate dell’imperatore, cede i suoi ricchi diademi ai francesi Pinault e Arnault che non sono venuti ferro alla mano, spoglia i forzieri della Zecca per sovra-pagare il Mose, i suoi cittadini abbandonano la città per la Terraferma non spinti dal nemico ma, alcuni, dall’avidità di cedere l’abitazione a prezzi speculativi a stranieri che non la abiteranno mai, oppure all’uso Airbnb alternativo agli alberghi dai prezzi proibitivi. Anziché superare le barriere architettoniche (si può progettare anche con eleganza!) si realizza un ponte straniero con cabinovia esterna mai funzionata! Talvolta pare che a quel che fece Napoleone abbiamo voluto aggiungere qualcosa.