Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

GIOVANI IMPRESE

- Di Gigi Copiello

Non so se è un argomento interessan­te. Se ne parla da dieciquind­ici anni. Parlo delle ragazze e dei ragazzi che se ne vanno a cercare lavoro e fortuna lontano dal Veneto. Sono sempre di più, ma nessuno fa niente. Prendo spunto da un fatto. Succede in un paese piccolo piccolo, dentro gli Appennini marchigian­i, Angeli di Rosora Fa 2.300 abitanti, Ancona è distante 50 chilometri. Mi viene in mente la responsabi­le del personale di una fabbrica del paese dove sono nato. Spiegava che quando selezionav­a i giovani ingegneri ne perdeva subito la metà, appena spiegava che sede di lavoro era Velo d’Astico, 2.300 abitanti, sotto l’Altipiano di Asiago, 40 km. da Vicenza. Angeli di Rosora è come Velo. Ma a Rosora i laureati e diplomati mica scappano, ma arrivano. Arrivano da tutte le Marche, ma anche da ogni parte del mondo. Arrivano e vanno alla «Loccioni», un’impresa con quasi 500 occupati, più della metà laureati, il 20% «stranieri». Ecco: ad Angeli di Rosora non c’è fuga di cervelli. Anzi ed al contrario ci si arriva da tutte le parti. Stupisce? Certo che stupisce. Anche perché non è il centro di ricerca di fisica che o sta lì o da nessun’altra parte. Come ad esempio sotto il Gran Sasso.

Qui

siamo in una delle tante valli degli appennini marchigian­i. Per quel che poi capisco, si fanno prodotti di alto livello tecnologic­o, per clienti come Leonardo elicotteri o Mercedes. Eccellenze su cui abbiamo competenze anche dalle nostre parti. Non sta lì la differenza, tra Loccioni che attrae e noi che facciamo fuggire. E dove sta allora la differenza? Che quei ragazzi non vanno lì e non stanno là solo per far bene la loro profession­e. Arrivano e stanno in Loccioni perché fanno l’esperienza di «intraprend­itori». Dentro l’impresa Loccioni fanno esperienza di impresa. Totale: dall’inizio alla fine, dall’idea al prodotto passando per il processo, dal budget al bilancio. Che altro? Tutto. Altrove magari ti occupi di tecnologie più sofisticat­e. Ma ad Angeli di Rosora, che sta in una valle in mezzo agli Appennini, dentro la Loccioni c’è qualcosa che in altre imprese non c’è: fare impresa con il proprio lavoro. Tutto qua. Questo è l’essenziale. E che dice l’imprendito­re Enrico Loccioni ? Lui spiega che ha cominciato come artigiano, un bravo artigiano che risolveva qualche problema che la Merloni aveva nel fare lavatrici. Invece, assieme a quei ragazzi che ne sanno più di lui, assieme a quei ragazzi cui insegna e dà tutti gli strumenti per fare e stare sul mercato, la «Loccioni», «impresa di imprese», è diventata grande, i conti van bene e continuerà a crescere. Chi vuol capire, capisce. A me è venuto in mente che, tanti anni fa, tanti operai fecero esperienza d’impresa lasciando la fabbrica e mettendosi in proprio. È andata anche bene, ma i grandi sono spariti e tutti son rimasti piccoli. Alla Loccioni non occorre lasciare, si può crescere assieme. A me è venuto in mente che tanti ragazzi, quando entrano in fabbrica, capiscono subito che tutti i posti che contano sono già occupati, dai «titolari» e nessun altro. Alla Loccioni hanno cambiato le regole del gioco, hanno cambiato l’organizzaz­ione del lavoro. Mica per ridurre i costi, ma per alzare il livello.

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